CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Resp.: dr. E. Reale

 

 

LE VOSTRE DOMANDE PIÙ FREQUENTI E LE NOSTRE RISPOSTE

 

Vi è un tipo specifico di donna a rischio di depressione?

Ogni donna è a rischio di depressione. Non vi sono tipologie di donne più a rischio se per tipologie intendiamo caratteri di personalità, o ci riferiamo a tipologie sociali ed economiche specifiche.

In ogni tipo di ricerca su popolazione risulta che la depressione femminile è trasversale ai vari gruppi sociali con diversi livelli economici e culturali. Ammala cioè la donna sia casalinga che non; la donna istruita o quella meno istruita, la donna di razza bianca quanto quella di razza nera, la donna della città come quella che vive in piccoli paesi. 

 

Ciò significa che io mi ammalo più facilmente solo perchè appartengo al sesso femminile?

No e Si

No se penso di ammalarmi perchè l'appartenenza al sesso femminile significa l'appartenenza al sesso più debole e più vulnerabile alla depressione.

Si se penso che sia sul piano storico che attuale la donna, in concomitanza con le tappe del suo ciclo biologico, e cioè dall'adolescenza alla maternità ed oltre, è fatta oggetto di specifiche richieste e  pressioni da parte della società, individuabili in: maggiore lavoro e maggiori responsabilità degli uomini; minore risorse, minore libertà di autodeterminazione, minori riconoscimenti e stima sociale.

 

Ma queste richieste non si riferiscono ai compiti del suo ruolo naturale di madre? E la donna non li ha svolte da sempre?

 

L'attività di cura naturale è limitata alla fase della totale inautonomia del nuovo nato e nel mondo animale dura poco ( il periodo dell'allattamento), poi il piccolo va da solo per il mondo. Nella nostra società le cure materne si protraggono ben oltre la fisiologia e l'ordine naturale e come tali divengono cure socialmente determinate (e non più naturalmente), che possono essere svolte da una serie di persone si all'interno del nucleo familiare che fuori.

In più oggi la donna svolge un doppio ruolo, che costituisce un doppio peso nella sua vita che la ostacola nelle attività autonome e personali.  Il peso del  lavoro esterno poi si associa più spesso che negli uomini a condizioni di minor vantaggio personale e sociale. Alla donna in definitiva paradossalmente si fa pagare ( invece che risarcire) il fatto che nel lavoro produttivo porta il peso anche della responsabilità familiare; perchè, a causa di questo secondo peso, non è libera come l'uomo di disporre totalmente di energie e forze per l'attività produttiva.  La donna si vede così penalizzata in termini sia economici che di carriera, e svantaggiata nella competizione con  gli uomini.

 

Allora alla base del disagio femminile e della depressione  vi è il suo ruolo, il sovraccarico che la donna sopporta oggi più di ieri?

 

Diremmo proprio di sì, se guardiamo ed interpretiamo bene anche quello che ci dicono le ricerche sul campo. Queste  mostrano come la depressione colpisce tutte le donne senza fare differenze economiche, sociali e di razza; mostrano anche che le donne coniugate, di tutti in contesti sociali, hanno più problemi di salute, a differenza degli uomini per i quali è vero il contrario.

Le donne giovani e adulte soffrono quindi più di depressione ed in modo più costante e persistente degli uomini, in un arco di vita compreso tra i 15 ed i 44 anni; gli uomini invece  soffrono di depressione in modo più episodico e riferito essenzialmente a due singole tappe di vita che rappresentano l'entrata e l'uscita dal mondo del lavoro (adolescenza e avvio al pensionamento).

Per le donne in definitiva la depressione ed i disturbi di tipo ansioso si associano a in maniera maggiore a tutta l'età fertile, ovvero dell'incremento dei compiti di ruolo nel sociale e nella famiglia.

 

Possiamo forse  dire che  la depressione è una patologia connessa al  sovraccarico nella donna  e  al sottocarico nell'uomo?

 

Sostanzialmente possiamo dirlo, ma solo se consideriamo che l'attività complessiva  delle persone sia costituita da ambedue i lavori: produttivo e riproduttivo-familiare. Con questa chiave di lettura possiamo correttamente valutare che per l'uomo l'origine della depressione, nella nostra società,  è più chiaramente connotata  nel suo sentirsi senza un ruolo pubblico: sociale, economico e produttivo. E poi possiamo anche valutare come il suo essere in coppia non sia fonte di aggravio di responsabilità, mentre succede al contrario per la donna, visto che l'uomo in famiglia non disperde ma reintegra le sue risorse spese all'esterno,  utilizzando anch'egli per se stesso, l'attività di cura familiare espletata dalla donna.

Per la donna, nella quale si osserva una depressione  prevalentemente associata alla condizione di coniugata, possiamo argomentare correttamente il contrario, cioè che il sovraccarico di compiti e ruoli sia familiari che extrafamiliari può essere all'origine della sua depressione e costituire quella condizione comune  di maggiore vulnerabilità alla patologia psichica rispetto all'altro sesso.

 

 

Possiamo meglio specificare i fattori di rischio per la depressione che accomunano le donne?

 

Certamente. I fattori di rischio sono più di uno, anche se si riferiscono ad una condizione di vita  che è comune a tutte le donne; dalla loro combinazione ed interazione dipende poi il se, il come, ed il quando la depressione si presenta nella vita della singola donna.

§         Lo stress ed il sovraccarico; che le ricerche sulla depressione generalmente hanno individuato nella condizione di donna coniugata con figli piccoli al di sotto dei 14 anni.

§         L'isolamento sociale, che le ricerche hanno generalmente individuato nella mancanza di relazioni di confidenza e di supporto, ed in particolare per le donne sposate nella mancanza di relazione di confidenza con il partner.

§         La mancanza di relazioni e supporti sociali.

§         Ed ancora la bassa auto-stima rappresentata nella scarsità di riconoscimenti che le donne ricevono sia  nel sociale che nella famiglia.

§         La tendenza alla dipendenza ed alla passività, quale risultante dello stile comportamentale definito come "to care", del farsi carico cioè dei bisogni dell'altro, ascoltando e silenziando i propri bisogni,  nella relazione di cura.

§         Gli eventi di vita stressanti, che in misura maggiore colpiscono le donne e che fanno riferimento soprattutto alla relazione con l'uomo ed all'esercizio del potere maschile (discriminazioni sul lavoro, violenza sessuale, maltrattamento familiare, ecc.).

§         Gli eventi così detti di perdita affettiva (lutti, separazioni, abbandoni, ecc.) che riguardano figure significative della vita relazionale di una donna (un partner, un genitore). Tali eventi, al primo posto nella lista dei life events che generano depressioni anche gravi, a ben guardare non hanno solo o principalmente  il carattere affettivo, ma implicano il più delle volte la perdita di supporti materiali, sociali, economici, essenziali alla sopravvivenza di una donna e dei suoi figli.

 

Tutti gli ingredienti per una buona ricetta di depressione al femminile, ritrovati nelle parole delle donne:

" il sovraccarico, la solitudine, il peso della responsabilità, la colpa, la mancanza di riconoscimenti, la stanchezza, e.....il  non vedere vie di uscita davanti a sè".

 

 

Dobbiamo pensare allora che il lavoro di cura familiare è quella condizione di rischio/vulnerabilità comune a tutte le donne?

 

Si,  possiamo a questo punto  correttamente dire che la maggiore vulnerabilità alla depressione che le ricerche individuano a carico della popolazione femminile si trovi nel lavoro di cura.

Il lavoro di cura si presenta in massima parte nel lavoro familiare (ma non solo, anche nel lavoro professionale  si pretende dalle donne più che dagli uomini una maggiore propensione alla cura degli altri); esso è l'origine sociale e culturale dello sviluppo nella donna di atteggiamenti e stili comportamentali che favoriscono la risposta depressiva agli eventi stressanti.

 

 

Perchè il lavoro di cura favorisce la risposta depressiva agli eventi stressanti?

       

La risposta agli eventi stressanti deve poter trovare un individuo in grado di fare una valutazione autonoma dell'evento e delle sue caratteristiche di eustress o distress (stress positivo o negativo), per poi decidere le risposte più adatte da dare nel più breve tempo possibile. Il tempo e l'esposizione protratta ad uno stimolo stressante crea un rischio più elevato di patologia psichica o fisica.

Il lavoro di cura espone al contrario la donna al rischio di una risposta "rallentata" o ad una risposta non auto-centrata sui bisogni personali di sopravvivenza.

Nella valutazione dell'evento la donna interpone costantemente il peso che l'evento ha sul bisogno-benessere dell'altro ( figlio, partner ed in genere tutti gli oggetti della cura)  e quindi la sua risposta non è mai diretta, è una risposta in qualche modo lenta, spesso sospesa nell'indecisione di cosa far prevalere: l'interesse personale o altrui. All'esterno si rendono solo visibili i comportamenti scarsamente reattivi-aggressivi, l'insicurezza, il non sapere decidere, l'attendismo e la passività, tutti alleati di una risposta che forzatamente lenta per meglio "incorporare", ovvero fare proprio, il bisogno dell'altro.

Spesso poi se la contrapposizione tra interessi personali ed altrui diviene troppo radicale ne deriva un forte stress emozionale che può rendere confusa e non più evidente la linea di confine ( border-line) tra i due tipi di interesse. In questo caso si determina, non solo una sospensione o un rallentamento della risposta, ma addirittura la paralisi: è questa l'esperienza del blocco della prassi tipica della depressione più grave ("mi sono messa a letto e non ho fatto più niente").

Molte risposte ad eventi stressanti considerate passive nella vita della donna possono comprendersi meglio se viste in questa ottica. Nel caso più tipico della violenza e del maltrattamento subito la donna è spesso costretta dal suo ruolo di cura, che pone avanti gli interessi degli altri (i figli ma anche il partner benchè violento), a tollerare a lungo patendo poi su di sè gli effetti psichici di questa tolleranza, tra cui soprattutto la depressione. 

 

Ma se il lavoro di cura contiene questo rischio elevato di depressione, vuol dire forse che se non voglio essere depressa  non mi devo sposare nè fare i figli? Ma prima poi non erano esattamente al contrario le indicazioni che si davano alle donne: signora si sposi oppure faccia un figlio?

 

Questi consigli una volta erano dettati dal pregiudizio che il ruolo sociale della donna fosse tutto compreso nel vivere in una dimensione di relazione con gli altri, la famiglia appunto, senza una vita personale propria ed autonoma. Oggi le cose sono cambiate e quindi consigli di questo genere non sono assolutamente proponibili. Così come non sono proponibili consigli ed indicazioni di segno contrario: "non si sposi e non faccia figli".

Parlare del lavoro di cura familiare come principale fattore di rischio non vuol dire: donne non sposatevi e non fate figli se no diventerete depresse. Assolutamente No.

Significa solo: donne fate attenzione ai rischi che si nascondono nella relazione quotidiana di cura familiare, imparate a riconoscerli per poi saper meglio come affrontarli senza cadere in depressione.

 

Il rischio depressione è solo collegato alla maternità?

 

No, a tutte le tappe della vita della donna, in particolare dall'adolescenza in poi, così come indicano le statistiche internazionali e nazionali, in cui la donna struttura i suoi modi di essere come modi centrati prima sul benessere degli altri e poi sul proprio. Vale a dire dovunque prevalga l'orientamento alla cura degli altri a detrimento o come rinuncia alla cura di sè.