CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Responsabile: dr. Elvira Reale

 

Le "relazioni difficili" dell'adolescenza

dal punto di vista del disagio psichico

 

            L’adolescenza è il momento dell’apprendistato, delle prove di partecipazione al mondo degli adulti, dell’apprendimento consapevole dei modelli e dei ruoli in vista di un prodotto che è la definizione del progetto di vita da adulto.

 L’adolescenza è infatti  l’età dei grandi cambiamenti, una età in sè a rischio di disagio: essa comporta la scoperta e la strutturazione consapevole di sé, delle relazioni sociali e sessuali consapevoli, dell’autonomia. Ovviamente l’adolescenza non è senza infanzia e senza i primi anni di vita, eventi importanti di questa fase possono gravare già sull’adolescente prima che si affacci alla fase delle autonomie personali e sociali.

Questa fase è accompagnata dalla relazione con i genitori, naturali tutors di questo percorso verso l'autonomia.

Ma spesso i tutors, non sono sufficientemente preparati a questo ruolo, spesso hanno loro stessi problemi e difficoltà relazionali che creano interferenze non virtuose; più spesso i tutors sono lasciati soli in un ruolo ed in una funzione di tutoraggio che dovrebbe prevedere anche l'intervento del contesto sociale allargato ( scuola, enti locali, ecc.)

Da qui noi pensiamo che particolare attenzione deve essere rivolta a questa relazione nell'adolescenza, non per colpevolizzare i genitori o  scaricare su di loro ogni responsabilità del disagio psichico dei figli, ma per fornire strumenti e chiavi di lettura che permettano un accompagnamento di una funzione che oggi è più faticosa di ieri a causa di processi sociali che aggravano e ritardano  il passaggio dei giovani dall'adolescenza all'età adulta.

Quali i punti chiave di queste relazioni?

Avremo modo di parlare di più fattori di rischio, ponendo l'accento sul carico di responsabilità che gli adolescenti subiscono come intralcio nell' intraprendere un personale percorso di autonomia dalla famiglia e dai genitori. Il sovraccarico infatti, che consideriamo il primo fattore di rischio,  è un carico eccessivo (ovvero che eccede le possibilità dell'adolescente di far fronte alle richieste di supporto ed aiuto)  di responsabilità, compiti e funzioni che l'adolescente è chiamato a svolgere in questa fase  e che  può determinare chiusure e blocchi alla "sua vita da adolescente", con conseguente disagio che si manifesta direttamente in questa tappa.

Qui vogliamo parlare di un aspetto della relazione genitori-figli che riguarda il carico di aspettative genitoriali sul progetto futuro dell'adolescente, sul  cosa farò e come sarò da grande.

Questo  carico di aspettative infatti non interviene a bloccare l'adolescente nella fase attuale, dell'adolescenza appunto, ma pone ipoteche sul futuro, creando vincoli alla libertà di autodeterminazione dell'adolescente  nelle  future relazioni adulte e nelle future rappresentazioni del Sè.

Vi sono varie forme di progettazione che intervengono nella relazione tra l’adolescente ed i suoi genitori che fanno parte di questa specifica relazione formativa composta di atteggiamenti pratici e di richieste verbali e normative.

Hanno senso per la produzione del malessere tutte quelle forme di intervento sul progetto dell'adolescente che giungono a definire:

·        un carico di aspettative e di modalità per conto di altri che disattendono o si discostano  da un modo personale dell'adolescente di  sviluppare la propria progettualità

·        il restringimento e la rinuncia a propri modi di vedere e di essere,

·        la sovrapposizione di altri interessi a quelli personali,

·        il  funzionalizzare il progetto personale a progetti ed aspirazioni di altri.

 


 

Analizziamo ora tutte le forme possibili di progettualità che possono manifestare i caratteri su menzionati ed entrare quindi nella produzione di un malessere futuro.

 

A.     Progettazione del fare

 

        Cosa vorrò fare  e cosa vogliono i miei genitori che io faccia?

Le aspettative dei genitori funzionano rispetto al progetto personale come restrittive o promotive: “non devi fare determinate cose che vorresti fare”; o “devi fare altre o più cose rispetto a quello che non vorresti fare”. Ambedue le funzioni hanno un unico effetto distogliere energie e capacità dell’adolescente alla realizzazione diretta del progetto personale e Comunque esse creano sovraccarico e situazione di pressione interna con riduzione di risorse libere funzionali all’accrescimento e sviluppo della propria soggettività.

 

B.     Progettazione dell’essere

 

        Come sarò?

         La progettazione dell’essere si riferisce agli aspetti e  personalità stili di risposta preferiti: essere aggressivo, competitivo, socievole, disinibito, accomodante ecc.

Questa progettazione sul piano pratico è poco sensibile alle dichiarazioni ma assume direttamente gli aspetti che vede agire: una madre o un padre ansiosi o asociali, che prendono il figlio nell’area di supporto della loro ansia o della loro solitudine, creano una situazione da cui difficile è dissociarsi. Il volere poi che il figlio diversamente da loro sia socievole e non ansioso, non produce meno ansia e più socievolezza, ma crea soltanto il terreno fertile per una immagine di incapacità soggettiva “ i miei genitori vogliono che io sia socievole, mi spingono a fare amicizie, ma sono io che non ci riesco”.

Anche questa progettazione costituisce un fattore di rischio se risente del meccanismo della funzionalizzazione e del coinvolgimento dell’adolescente in un’area di interessi impropri: l’area di supporto ai modi di essere dei genitori. Gli effetti specifici di questo meccanismo sono i sensi di incapacità e/o di colpa rispetto a modalità personali indotte ma al tempo stesso sottoposte a critica.

 

C.     Progettazione della relazione

Come sarò nella relazione con gli altri?

Il problema del modello della relazione scaturisce dal tipo di relazione con il mondo che hanno le figure genitoriali, e dall’analisi che viene fatta intorno al bilancio dare-avere.

In genere il modello pratico che illustra la relazione con l’esterno, più implicata nel percorso di disagio, è quello che fa riferimento ad un bilancio dispari tra le due polarità del dare e dell’avere[1]. Si dà e non si riceve, si dà fiducia e si riceve tradimento.

Questo modello è molto incisivo sulla capacità di relazionarsi con gli altri sull’onda del piacere e del “gioco”[2]. Esso sostituisce alla necessaria attività esplorativa ed esperienziale tipica dell’adolescenza, che prevede uno scambio con il mondo esterno fondato sull’interesse personale all’esperienza ed alla conoscenza di sè e degli altri, una impropria funzionalizzazione della relazione sull’onda di bisogni dell’adulto che sono quelli di costruire la relazione preferenziale con il figlio candidandosi ad unico referente e ottenendo in cambio la disponibilità ad utilizzarlo (funzionalizzazione del figlio) nell’area dei bisogni personali. L’adolescente è quindi indirizzato a valutare il rapporto con gli altri come un rapporto “in perdita” in cui non si realizzano obiettivi personali.

 Tipici esempi sono le osservazioni, le critiche degli adulti alle relazioni degli adolescenti: “cosa hai ricavato, a che ti serve frequentare questo amico se non ti ricambia. Perchè fai un regalo se poi non lo ricevi ecc.”

Con questa modalità di intervento dell’adulto sul mondo relazionale dell’adolescente si veicola la percezione di una esperienza relazionale fondata solo sul dare in cui costantemente manca o è defettuale il ricevere.

D.     Progettazione della relazione di coppia

 

            Che tipo di partner sarò?

Oltre il modello relazionale generale, nell’adolescenza il progetto di sè si fonda anche sulla percezione della relazione specifica tra i genitori: questa relazione sarà una guida per le relazioni dell’età adulta con l’altro sesso.

Anche in questo caso la progettazione viaggia su due binari:

q       i modelli pratici ,

cosa fanno i genitori e come si comportano tra loro, cosa dicono ciascuno dell’altro, i loro livelli di soddisfazione espressi nella relazione;

cosa fanno i genitori in relazione al coinvolgimento del figlio nella loro relazione e cosa dicono del figlio;

come sono nel rapporto diretto con il figlio;

q       i modelli astratti teorici o ideali,

come vorrebbero la relazione tra di loro e cosa vorrebbero che l’altro facesse nella relazione;

quali aspettative hanno dal figlio in relazione alla loro vicenda coniugale;

come rappresentano se stessi nella relazione con il figlio.

 

E.      Progettazione della maternità/paternità

 

           Quale padre o quale madre sarò da grande?

 

     Il trasferimento dell'esperienza anche in questo ambito viaggia su due versanti:

¨      il versante di figlio ovvero: ciò che ho esperito nella posizione di figlio

¨      il versante del genitore: ovvero ciò che il genitore trasferisce al figlio come modello dell'esser madre o padre.

Sul primo versante  ciò che si trasferisce  è l'esperienza della sofferenza/gioia che direttamente è pervenuta al figlio nel rapporto con i genitori. Si delineano tutto quello che io farò/non farò come genitori. Se l'esperienza della sofferenza è stata molto profonda, i comportamenti relativi possono non solo essere non essere preferiti ma totalmente banditi/proibiti, creando barriere e limiti alla espressione personale.

Sull'altro versante, i figli assorbono il giudizio ed i modelli sulla genitorialità. Si costruiscono così i modelli della buona madre e del buon padre o quelli della cattiva madre e del cattivo padre. Questi modelli possono essere molto coercitivi, se il genitore ha puntato su questo modello la propria realizzazione (si pensi alle donne, casalinghe senza altro campo di realizzazione personale), e se ha interesse a rappresentarsi come molto buono; oppure se questi modelli sono stati usati come armi nel conflitto coniugale per svalorizzare l'altro agli occhi del figlio.

In sintesi entrano nella  costruzione del malessere i modelli di perfezione sia positiva che negativa: è ugualmente nociva l'immagine di un genitore molto buono o molto cattivo; oppure le immagini contrapposte di un genitore solo buono e di un altro solo cattivo. Il figlio infatti nella progettazione di sè si troverà ad incarnare un modello sbilanciato che crea sicuramente sovraesposizione allo stress (devo essere perfetto come l'uno o devo assolutamente non essere cattivo come l'altro).

Infine entra nella progettazione della propria genitorialità anche l'assenza di genitori, e di modelli; questo vuoto si presta in genere ad una lettura negativa di carenza ed apre la porta ad una enfatizzazione del ruolo del genitore con  elevate quote di aspirazioni perfezionistiche.

 


[1] Reale ,E (1997) Dall’avere al dare, dall’autonomia alla dipendenza: le tappe fondamentali dello sviluppo femminile, in Chiti, E. “ Educare ad essere uomini e donne”, Rosemberg &Sellier, Torino.

[2] Secondo una conosciuta accezione filosofica il gioco è ciò che si dà al caso, e alla gratuità che è fine a se stesso, l’esperienza per l’esperienza.