CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Responsabile dott. Elvira Reale

 

 Emilia, anni 38, due figli

 

 

Le condizioni di

arrivo al Servizio

 

 

 

 

 

 

La storia del rapporto coniugale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il protrarsi della condizione adolescenziale della coppia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la nascita della 1° figlia e l'interruzione degli studi

 

 

 

 

 

 

 

 

la vita di casalinga

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il primo strappo dalla vita con i suoceri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la mancanza di libertà 

 

 

 

 

 

 

 

il ruolo di mediazione, ed i primi disagi psico-fisici

 

 

 

 

 

 

la perdita della rete relazionale

 

 

 

 

 

 

 

la crisi del rapporto di coppia

 

 

 

 

 

 

la svalutazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la ripresa del progetto lavorativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la malattia nel 1998

 

 

 

 

 

 

il tentativo di rimettere insieme la coppia con l a psicoterapia

 

 

 

 

 

 

la mancanza del desiderio sessuale

 

 

 

 

 

il sovraccarico e la differenza di carichi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la caduta del progetto di solidarietà ed insiemità nel rapporto coniugale: l'emergere del sovraccarico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

l'incontro con un altro uomo

 

 

 

 

 

 

 

 

l'evento goccia: la solitudine ed

il fallimento del progetto sentimentale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il break-down  e la  chiusura del rapporto con il mondo

 

 

 

 

 

 

 la stanchezza e poi la demotivazione "tutto è inutile"

 

 

 

 

 

ripete un meccanismo di difesa già sperimentato nell'adolescenza

 

 

 

lo stile della disponibilità e della cura degli altri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

la richiesta di aiuto dopo il ricovero

 

 

 

 

 

 

 

 

l'evoluzione della storia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazioni del caso

 

 

 

fattori di rischio Þ   Þ

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

fattore scatenante

Þ   Þ

 

Emilia, è sposata ed ha due figli. Arriva al Servizio dopo un ricovero avvenuto in regime di volontarietà, a seguito della consultazione specialistica presso un Centro di Salute mentale.  Il ricovero è durato 7 giorni. La diagnosi di ammissione è consistita  in "Inibizione psicomotoria, mutacismo" e quella  di dimissione in: "Reazione depressiva".

 

La donna descrive il rapporto coniugale come centro del suo malessere.

Il marito è descritto come uomo non violento, mite ed accondiscendente. Ma questa accondiscendenza nel corso del matrimonio - avvenuto all'età di 22 anni, seguito a breve dalla nascita dei due figli - si è rivelato come passività ed acquiescenza, mancanza di iniziativa ed incapacità ad assumersi il peso delle responsabilità familiari.

 

Questa situazione ha determinato nel tempo la crisi coniugale. Infatti il marito, bravo studente, ha per lungo tempo coltivato il progetto di lavorare nella università. Questo progetto non ha mai portato ad un risultato concreto, se non quello di mantenerlo in un'area di una "protratta fase adolescenziale" in cui tutti i problemi venivano da lui risolti riportandoli alla famiglia di origine per altro ben lieta di svolgere tale ruolo. Il ruolo di supporto necessario alla coppia, nei primi tempi di matrimonio, come spesso succede nelle giovani coppie, si è così cronicizzato nel tempo dando luogo a dinamiche di inversione dei ruoli. I genitori del marito, infatti  ed in particolare il padre del marito, hanno  più volte assunto o teso ad assumere il ruolo dei genitori nei confronti dei nipoti, tentando di imporre il loro punto di vista nelle decisioni della giovane coppia.

Questa mancanza di autonomia era evidente dal tipo di ménage familiare: i coniugi hanno vissuto per lungo tempo in un monolocale adiacente e comunicante con l'appartamento dei suoceri per cui la vita coniugale familiare si svolgeva insieme. I due giovani venivano così esonerati dalle responsabilità quotidiane (spesa, vitto, ecc) ma resi anche dipendenti nelle scelte educative.

 

Emilia, anche lei iscritta alla Facoltà di Architettura, dopo il matrimonio e la nascita della prima figlia (sei mesi dopo) non è riuscita a completare gli esami, dati il poco tempo libero e l'onerosità della facoltà che prevedeva non solo lo studio a casa per gli esami ma anche una frequenza mattutina. Il marito doveva anche lui terminare il corso e così di fatto la signora ha rinunciato al suo progetto di completamento del proprio corso di laurea in favore di quello del marito.

 

Ha vissuto quindi dal 1988 fino al 1998, in una condizione di "casalingato" dedicandosi completamente ai figli ed al marito: "adoravo mio marito perchè era un mite, inizialmente non mi ero accorta della sua dipendenza dai genitori, o non l'ho voluta vedere, ed io facevo di tutto, per compiacerli, per farmi accettare, visto che lui ci teneva tanto ai suoi genitori " (dal colloquio  del 13.6.00).

 

Ha vissuto a stretto contatto con i suoceri fino al 1992 (monolocale adiacente alla casa e comunicante) e poi nel 1992 c'è il primo strappo che crea un attrito: la signora si impone al marito per trasferirsi all'ultimo piano dello stesso stabile in un appartamento separato di proprietà dei suoceri ma almeno con l'idea di avere un ménage autonomo. Questa decisione presa dalla signora, è stata oggetto di battaglie perchè i suoceri desideravano continuare la convivenza e a loro dire ritenevano che la coppia non era matura per occuparsi da sola dei figli e dei problemi quotidiani.

 

Della casa i suoceri avevano le chiavi e potevano in qualsiasi momento entrare, cosa che regolarmente facevano per controllare le uscite della signora, il tempo di passeggiata fatta con i figli (il suocero in particolare controllava le ore di aria dei bambini!) il tipo di cibo che preparava, interferendo continuamente nelle scelte e nelle attività quotidiane.

 

Emilia non reagisce e contiene le emozioni negative, ha in questo periodo frequenti mal di testa, che indicano le tensioni trattenute e non agite. II motivo per cui non reagisce, non è da imputare a passività, quanto alla sua idea di proteggere i figli dalle tensioni familiari, ha contenuto le tensioni e le emozioni negative senza scaricarle sui figli.

 

La vita con i suoceri ed il ruolo di mediatrice dei conflitti, impone un'attenzione costante ai rapporti familiari, per cui in tutto questo periodo Emilia perde di vista i suoi interessi, lo studio lo aveva già abbandonato alla nascita della prima figlia, ma anche i rapporti sociali languono e lei perde i contatti amicali.

 

Il percorso matrimoniale fino al 1998, anno in cui la Signora individua un preciso evento che le cambia la vita, è caratterizzato da inerzia e passività del marito, da una vita di coppia che si inaridisce e soprattutto dal progetto di vita di coppia, che la signora aveva inteso fortemente come solidarietà, reciproco supporto, condivisione delle responsabilità e delle gioie, che viene meno. La signora comincia a vivere in una contraddizione tra desiderio di separarsi, comunicato al marito più come pungolo per una modifica di atteggiamento che per altro, ed impossibilità ad avere una condizione di reale autonomia sia economica che affettiva ( la signora ha sempre precisato che era molto legata al marito) per affrontare la separazione.

 

Nel gennaio 1998 vi è il primo scontro con i suoceri. La signora riferisce di uno scontro violento davanti ai figli in cui il suocero l'aggredisce verbalmente  perchè lei gli tiene testa sulla scelta della scuola del figlio non cedendo al suo punto di vista. Viene offesa, svalorizzata davanti agli occhi dei figli senza che il marito prenda posizione nè in quel momento nè successivamente. Decide così di interrompere i rapporti con i suoceri mantenendo anche in questa situazione un atteggiamento corretto verso i figli ed il marito che non vengono ostacolati nella relazione con i genitori ed i nonni.

Da quel giorno i suoceri iniziano con i nipoti una opera sottile di svalutazione della madre tipico è l'induzione nella nipote ad affibbiare un nomignolo " la tedesca"  alla madre.

 

Da allora la signora acquista consapevolezza che il percorso di autonomia dalla famiglia del marito non può che essere personale: "il marito non la seguirà mai". Così comincia a frequentare corsi di formazione e comincia a lavorare nel marzo 1998 in uno studio di geometri, come impiegata in funzioni di contabilità tecnica.

 

Ad Agosto 1998 la donna si ammala , rimane sola, ("anche se ero stanchissima mi cucinavo da sola, facevo tutto, da sola mi toglievo le flebo") il marito con i figli sta presso i suoceri i quali impongono, dopo la guarigione attestata dai sanitari, un ulteriore e vessatorio periodo di lontananza dei figli dalla madre.

 

Quest'altro episodio è ancora di più vissuto come ferita intollerabile alla solidarietà del rapporto di coppia, e nel gennaio 1999, Emilia prende la decisione di iniziare una psicoterapia insieme al marito per vedere di risolvere i loro problemi di coppia. Lo specialista da cui ambedue si recano, indica un percorso individuale da fare i e ambedue iniziano una psicoterapia. 

 

Successivamente la psicoterapia fatta da entrambi non migliora le condizioni di vita della coppia ma la relazione affettiva si deteriora ulteriormente fino quasi ad interrompersi: " prima il rapporto sessuale era una cosa gioiosa, invece era diventato l'ultimo servizio della giornata.

 

"Facevamo vite diverse io mi alzavo presto al mattino, cucinavo portavo i figli a scuola, e poi quando ho cominciato a lavorare andavo al lavoro; lui si alzava tardi ed usciva per lavoro il pomeriggio per rientrare tardi al sera; io dopo aver fatto mangiare i figli, aspettavo anche alle 23 per cenare con lui e nel frattempo lavavo i panni o stiravo o facevo altri servizi per la casa. Dopo cena lui guardava la televisione come se stesse solo ed io facevo la cucina; poi andavamo a letto e l'ultimo servizio della giornata era quello".

 

Il 1999 è comunque un anno di crescita personale per la Signora ma anche di senso di perdita di un rapporto a cui aveva fortemente tenuto: le ansie per recuperare il tempo perduto soprattutto nella scelta lavorativa, le difficoltà ora di tenere insieme il lavoro ed i figli, e soprattutto la perdita che le sembra irrevocabile del suo progetto affettivo con il marito costituiscono una base consistente per la crisi che si manifesterà nell'agosto successivo . Inoltre in tutto questo quadro Emilia, senza più una motivazione, che poteva essere la prospettiva di un recupero del rapporto con il marito, continua a tenere addosso un peso, il peso del marito verso cui si continua a sentire responsabile: "Nella psicoterapia veniva fuori che io mi portavo un carico :quello delle persone che stanno male, il carico più grosso era mio marito, nel matrimonio mi ero dedicata completamente a lui, ero io, che anche dopo il litigio con i suoceri continuavo a spronarlo per farlo alzare e fargli fare le cose, anche i servizi ai propri genitori; lui era talmente passivo che non esprimeva mai il suo punto di vita, neanche cosa gli faceva piacere ed è tuttora così".

 

Sempre in quell'anno, avviene l'incontro con un altro uomo. Nel nuovo ambito lavorativo che le si prospetta come alternativo alla casa, la donna inizia una relazione sentimentale con un uomo del tutto diverso dal marito soprattutto dal punto di vista della capacità di iniziativa.  Ma questa relazione, partita come alternativa, sostitutiva del rapporto con il marito percepito come fallimentare, subisce un arresto.

 

Ad agosto 1999, in una condizione di solitudine ( rimane sola in casa), la percezione del fallimento del progetto sentimentale è totale. Ai carichi di responsabilità impropri, assunti anche  per conto del marito, ai sensi di colpa per non essere riuscita  a "far crescere" il marito nella relazione di coppia, alla percezione  della sconfitta nei confronti dei suoceri che erano riusciti ad interferire nel rapporto che lei avrebbe desiderato avere con il marito, un rapporto solidale, partecipato, condiviso ed autonomo, si aggiunge come evento goccia, la delusione per questo ultimo rapporto.

 

Questa ultima relazione chiude la progettualità della donna, perchè invade, oltre il campo sentimentale, anche il campo lavorativo che nella crisi coniugale le aveva aperto una uscita dal malessere esistenziale e dalla percezione di scarsa stima di sè, che le era provenuto dal rapporto con i suoceri.

 

"Mi sono resa conto che era inutile combattere, quindi ho deposto le armi, non ne volevo sapere più niente: pensavo lasciatemi stare". "Stavo sul divano, e quando mio marito se ne accorse chiamò mia sorella, e non sapevano che fare e mi portarono in ospedale".  "Era una mia volontà non rispondere (diagnosi del  mutacismo); certo non risolveva i problemi, ma era un modo di dichiarare che non ce la facevo più".

 

A 13 anni la signora assume lo stesso atteggiamento all'esame di matematica per protesta contro l'insegnante (svalorizzazioni subite durante l'anno).

 

 

" Eppure sono sempre stata una persona molto attiva, anche all'epoca ero così: mi alzavo presto al mattino, cucinavo poi andavo al lavoro, ero sempre disponibile con i figli, per cui c'erano sempre amici in casa, alla mia casa ho sempre badato io, non ho mai avuto aiuti, perchè non me lo potevo permettere, e poi perchè mi piaceva".

"Non ho mai avuto problemi del tipo paura di stare sola, fobie o attacchi di panico, è che ad un certo punto mi sono stancata. Io incitavo sempre mio marito, cercavo di incoraggiarlo, è come se non ce la facessi più a fare questo. Io le cose le affronto, non mi tiro mai indietro, e quindi mi sembrava sempre di combattere con mio marito, con i genitori di mio marito, perchè ci considerassero una famiglia, perchè facessero i nonni e non i genitori dei nostri figli"

Durante il ricovero sente il bisogno di allontanarsi dal marito: "non ce la faccio più a stare con lui" .

 

Con questo bisogno arriva al nostro Servizio per essere aiutata ad affrontare il problema della sua autonomia dalla relazione con un uomo, e della ricostruzione di un progetto di vita.

 

Sceglie quindi dopo il ricovero, con il supporto del Servizio, di avere una pausa di riflessione a casa dei genitori. Lì si rende conto che ha bisogno di uno spazio per ricostruire il proprio progetto di vita ricominciando dal lavoro. Non coinvolge i figli, che pur vedendo tutti i giorni, rimangono nella casa con il padre. In questi sei mesi di permanenza a casa dei genitori, lavora solo su se stessa e sulle sue capacità di ripresa di un'autonomia. E così la donna riprende le sue attività, in questo periodo oltre a progredire sul piano lavorativo, costituisce, dopo un corso di formazione a Torino in cui viene selezionata tra altre persone per competenza e capacità, la cooperativa in cui oggi lavora.

Sempre in questo periodo deve fronteggiare la malattia della madre (tumore) ed un ricovero della figlia. In questo periodo, centrando le sue risorse su di sè, e distogliendo le energie psichiche dalla relazione di coppia, ritorna vitale ed attiva.

 Dopo sei mesi, forte di una autonomia economica e di una accresciuta stima di sè (lavora ed è molto apprezzata), va a vivere per conto proprio insieme ai figli, mentre il marito continua la sua vita da eterno adolescente presso la casa dei genitori.

 

Dall'analisi della storia si evince che l'episodio depressivo   è    da mettere in relazione con:

 

·        una condizione di sovraccarico e stress emotivo determinata dalla mancata condivisione da parte del marito delle responsabilità comuni, e dagli atteggiamenti di quest'ultimo improntati a passività ed inerzia;

·        la perdita delle relazioni amicali e degli interessi personali di studio;

·        l'esposizione a giudizi svalorizzanti nella relazione coniugale  che minano l'autostima e rendono il progetto personale instabile e vulnerabile;

·        la crisi del progetto coniugale, e l'apertura ad un altro progetto sentimentale  come unico progetto di affermazione personale;

 

·        la caduta del progetto sentimentale, alternativo alla relazione coniugale, e di quello  lavorativo, che definisce una perdita totale di stima di sè, già deteriorata dalla relazione con i suoceri.