CENTRO PREVENZIONE SALUTE MENTALE DONNA

Responsabile: dr. Elvira Reale

 

 

IL PROCESSO DI COSTRUZIONE DEL SINTOMO  

( con una breve casistica)

    Vittoria Sardelli, Felicia Formisano, Maria Luisa Pepe, Silvana Ventura

 

CNR, UNITA OPERATIVA -USL  NAPOLI

Resp.: dr. E. Reale

 

 

 

Il processo di costruzione del sintomo inizia quando la donna, o una persona in generale, riflette sul proprio senso di stanchezza in modo separato dagli eventi della vita quotidiana.

Questa riflessione non conduce alla individuazione dei pesi e dei carichi di lavoro personali ma alla definizione di un cattivo funzionamento del corpo e/o della menta. La persona, nell'ottica della malattia, al cui interno si forma il sintomo, considera la stanchezza fisica o psicologica come priva di fondamento e ragioni. In qualche modo nella percezione di malattia si annullano i conflitti e le lotte con il contesto per l'affermazione degli interessi, spazi di vita e progetti personali.

Si assiste quindi ad un mutamento del punto di vista della persona che comincia a percepirsi malata: non sono gli eventi di vita, le richieste del contesto, gli atteggiamenti altrui a provocare la sofferenza ma è un possibile cattivo o diverso funzionamento del corpo o della mente. Questo mutamento di prospettiva trova la sua ragion d'essere nella difficoltà della persona ad ottenere il consenso del contesto (famiglia, genitori, marito, ecc.) a cambiamenti che vadano nella direzione di un alleggerimento di un eccessivo carico di lavoro e responsabilità. Ad una richiesta di aiuto della persona in difficoltà rispetto a compiti e carichi di ruolo il contesto risponde con un'accusa di incapacità personale avvalorando la legittimità e la sostenibilità del carico di ruolo.

La dinamica che si stabilisce tra contesto e la persona è rappresentata nello schema A. In questo schema si evidenzia come dalla resa al punto di vista del contesto - sulla legittimità/sostenibilità dei compiti assegnati e richiesti - nasca la valutazione di una stanchezza fisica o psicologica priva di fondamento.

La stanchezza è quindi la prima sensazione inspiegabile che avvia nella persona la ricerca di ulteriori segnali di un qualche cambiamento della propria funzionalità fisico-psichica. Dalla stanchezza quindi si procede verso la ricerca ed il ritrovamento di irregolarità/diversità del proprio funzionamento. Queste stesse irregolarità si trovano anche precedentemente nella vita della persona ma non erano lette come segnale di una qualche situazione patologica, ora in connessione con la stanchezza diventano la conferma di un sospetto di malattia.

Il  processo di formazione del sintomo avviene quindi attraverso un percorso in cui la persona analizza sensazioni, emozioni comportamenti alla ricerca degli elementi che giustifichino la stanchezza e con essa il cambiamento di abitudini di vita quotidiana.

 La riflessione sul corpo è la prima analisi che la persona conduce, essa avviene secondo due tappe che prevedono un graduale ampliamento ed estensione delle sensazioni disturbanti:                                     

Riflessioni sulla stanchezza.

ò

Attenzione al corpo e ai suoi modi di funzionamento: rilevazione dei fenomeni quali: mal di testa, palpitazioni, lievi giramenti, dolori ossei, dimenticanze, sovrapposizione di pensieri, pensieri riferiti a possibili danneggiamenti, ecc.

ò

Prima reazione di paura: "mi sta succedendo qualcosa". Tendenza a verificare la propria funzionalità psicofisica controllando le proprie reazioni e dando attenzione al loro ripetersi.

ò

Ripetizione del malessere: prima conferma della sua non occasionalità.

ò

Reazione di allarme: ampliamento del malessere con aggiunta e produzione di altri disturbi provocati  da una percezione di una situazione di anormalità. Sono di tipo secondario il tremito, la tachicardia, il senso di svenimento, il vuoto di memoria, la confusione mentale, ecc.

ò

Bisogno di conferma del tipo di situazione che si sta vivendo: confronti con figure mediche  per definire il proprio malessere in termini psico-organici.

ò

Conferma da tecnici della presenza di un disturbo: psicologico/nervoso/mentale.

ò

Inglobamento delle esperienze altrui (familiari e non) di malattia mentale. Ulteriore verifica della propria sanità con il confronto con modelli sperimentati di follia.

 

In questo percorso, l'intervento medico assume un'importanza centrale. In conseguenza della diagnosi di disturbo nervoso o mentale la persona tende a vedersi, in base anche ai modelli abituali di malattia mentale, come senza possibilità di autocontrollo, bisognosa di protezione e tutela sia medica che familiare. Questo percorso delinea l'instaurarsi del disturbo fisico e la conferma, in genere attraverso l'intervento medico, di una malattia.

Esso rappresenta un primo livello di formazione del sintomo: quello che si riferisce essenzialmente alla funzionalità corporea. Lo schema B elenca la possibile gamma dei disturbi definiti dal nostro gruppo di ricerca come di 1°livello.

L'elencazione di questi disturbi, elencazione che riguarda anche gli altri livelli, è tratta essenzialmente dalle storie cliniche e riporta in sintesi i modi e i termini espressivi prevalentemente usati dalle pazienti nella descrizione dei loro malesseri.

Dal disturbo di questo tipo si passa ad una situazione più articolata e complessa: il secondo livello del sintomo (Cfr. Schema B). Questa nuova situazione è caratterizzata dalla paura del ripetersi del disturbo in situazioni soggettivamente ritenute rischiose, in quanto prive di un sufficiente o efficace controllo esterno. La persona quindi che vede il perdurare del disturbo od il suo ampliarsi, nel modo precedentemente descritto, teme che esso possa accadere o (nel caso sia già accaduto) ripetersi in determinate situazioni.

Queste situazioni saranno quindi accuratamente evitate: si tratta generalmente di situazioni in cui la persona si trova sola fuori casa o in casa, oppure in luoghi affollati o isolati dove si teme che non vi possa essere un tempestivo aiuto.

Il secondo livello prevede anche la tendenza, in situazioni controllate, a ripetere il sintomo per provare la propria capacità di resistenza e controllo. Ciò accade specificamente quando la diagnosi medica di un disturbo mentale evoca ricordi, tratti dalla storia familiare o da altre storie, di persone malate incorse in comportamenti incontrollati e pericolosi. In questo caso la persona teme il ripetersi di queste situazioni anche per sé, e tende a mettere sotto verifica e controllo i comportamenti che si teme possano verificarsi.

La persona ripercorre in questo modo la strada di costruzione del medesimo sintomo, di cui ha avuto precedente esperienza o conoscenza.  Il secondo livello rappresenta l'ampliamento del disturbo fisico iniziale: nel sintomo iniziale la persona tende a incorporare un sistema articolato di difesa e protezione che possa diminuire o eliminare il rischio del ripetersi  del sintomo stesso, o il rischio degli effetti del sintomo che si temono particolarmente gravi per sé o per  altri (il rischio di morire, o di far male, ecc.).

 Questo sistema di difesa, nel caso specifico delle donne, individua generalmente la casa, come luogo di  protezione e l'esterno, come luogo di pericolo.

Per tutte e due le situazioni di I° e 2° livello si ha parallelamente una diminuzione/sospensione/interruzione di alcune attività specifiche. Questa sospensione o  modifica di attività, interpretata nell'ottica della malattia, non viene collegata alla necessità di una riduzione di un eccessivo carico di lavoro e responsabilità presente nella vita quotidiana, ma al disturbo insorto, e come tale viene  considerata effetto e prova dell'instaurarsi di una condizione patologica. 

La riflessione sulla propria funzionalità di ruolo (relativa cioè ai compiti di ruolo) avviene secondo uno  schema analogo e parallelo a quello della riflessione sulla funzionalità corporea e inizia dalla constatazione di una mancanza di gioia ed interesse:

 

Riflessione sulla noia, sulla mancanza di gioia

ò

Attenzione ai compiti e ai loro modi di svolgimento. Sensazioni di gravosità e monotonia che    accompagna lo svolgimento dei compiti abituali. Rilevazione di una caduta di interesse e piacere.

ò

Prima reazione di paura: "qualcosa sta cambiando".

ò

Tendenza a verificare la funzionalità delle proprie prestazioni e i vissuti che le accompagnano. Attenzione a ulteriori cambiamenti e variazioni di atteggiamenti.

ò

Reazione di allarme: "sono cambiata"; ampliamento della percezione di una propria disfunzionalità. Rallentamenti o blocchi dell'attività quotidiana.

ò

Bisogno di conferma del cambiamento: confronto con altre situazioni per definire i termini della propria anormalità.

ò

Conferma dall'esterno di una propria diversità di modi di espletamento di funzioni, mansioni, ecc.

ò

Confronto continuo con le capacità delle altre donne rispetto agli elementi cui si compone il ruolo.

 

Consideriamo ora la possibilità che non vi sia stato un intervento medico: in questo caso la persona può ugualmente percorrere le prime tappe del sintomo modificando nel contempo abitudini e comportamenti, ma queste modifiche di attività abituali non creano un allarme nel contesto. La persona, dal canto suo, si considera soddisfatta del nuovo equilibrio raggiunto con la messa in atto di un apparente adeguato sistema di difesa dal sintomo. Il sistema di sicurezze personali non mette quindi in crisi l'equilibrio familiare.

Si pensi al caso della ragazza adolescente che, in seguito a qualche disturbo del 'primo livello', abbandona la scuola e si chiude in casa: quando ciò corrisponde al progetto familiare di avere un aiuto domestico a tempo pieno, una tale chiusura non sarà vista come patologica, anzi, se precedentemente, questa era la richiesta familiare non esaudita, essa potrà segnalare al contesto una trasformazione "positiva".

La riflessione sul proprio corpo che non funziona, associata alla riflessione sulla limitazione delle varie attività che si sono dovute interrompere o diminuire, avvia nel tempo una ulteriore riflessione. quale sulla inutilità degli sforzi volti alla guarigione e sulla inutilità del proprio ruolo e della propria esistenza. Quando il tempo trascorso nella percezione di essere malata e nella sofferenza prodotta dalle limitazioni del sintomo divengono soggettivamente non più tollerabili inizia questo terzo tipo di riflessione sulla propria condizione di vita immodificabile, inutile e disperata. (Cfr.: 3° livello del sintomo, schema B).

Questo tipo di riflessione è orientato a individuare quali siano i perché di una situazione di vita divenuta  intollerabile a causa della propria condizione di malattia. La malattia diviene sempre più percepita come condizione di anomalia, diversità ed eccezionalità: "Sono diversa dagli altri per condizione biologica, per un fatto religioso, o per motivi politici e sociali "; oppure " gli altri mi trattano in modo strano per  motivi biologici, per moniti religiosi o politici".  In questa fase le spiegazioni del proprio malessere e dei cambiamenti di vita trovano supporto non più  nei fatti della vita quotidiana, negli scontri di interesse con il contesto, ma in altri fatti distinti da quegli  eventi e da quelle figure della vita quotidiana che sono stati maggiormente implicati nel percorso di ammalamento e nel processo di avvio del sintomo. 

Il passaggio da un livello all'altro dei sintomo avviene sempre in una direzione che va dal 1° al 3° ciò è  documentato anche nella raccolta dati che il Servizio donne ha condotto negli anni 1981-85 (Cfr.: ibidem, P. Orefice e altre: "Analisi dei dati del Servizio donne negli anni 1981-85)

 Riepilogando, la progressione del sintomo segue quindi un ordine di costruzione logica che va dalla riflessione diretta sul corpo, attraverso la determinazione e definizione di un sistema di evitamento di situazioni considerate pericolose perchè associate al sintomo, alla definizione di una immodificabilità  della propria condizione di malattia e alla riflessione sui motivi di ciò.

La raccolta delle storie  cliniche e delle storie di formazione e costruzione dei sintomi negli anni precedentemente indicati  (1981-85) ha portato anche alla individuazione dei fattori che facilitano lo sviluppo e l'ampliamento dal  I° al 3° livello.

Quando parliamo di ampliamento intendiamo riferirci ad una estensione del sintomo in varie dimensioni o campi: una estensione della percezione soggettiva del sintomo = maggiore fastidio, intensità del sintomo avvertiti dalla persona; un maggior spazio occupato dal sintomo = più situazioni, attività, campi limitati, ridotti o annullati dal sintomo; una riflessione negativa più estensiva e generalizzata della propria condizione. 

Un tale ampliamento del sintomo avviene essenzialmente in dipendenza dello sviluppo di tre fattori:

1.il  tempo,  2.  l'intervento medico o psicologico, 3. le reazioni del contesto alla malattia.  

1. Il fattore tempo indica che quanto più la persona rimane nell'ottica di una propria malattia tanto più ha la possibilità di sperimentare un ampliamento ed approfondimento del sintomo. 

Ma il tempo non va misurato solo nella sua dimensione quantitativa. E' necessario anche sviluppare  una valutazione qualitativa di esso: quanto tempo, in che fase o fascia di età di una persona; quanto  tempo destinato a quali scopi, obiettivi ecc.

 Il tempo di un adolescente è diverso dal tempo di una persona adulta: una interruzione di alcune attività. (scuola, socializzazione) nella fase adolescenziale può in breve tempo (anche in un anno) far compiere un percorso di ampliamento del sintomo che richiederebbe tempi più lunghi in altre situazioni di vita.  Poi il tempo nella malattia va valutato in relazione al tipo di compiti e alle funzioni che si sono interrotte: se i compiti interrotti a causa del sintomo sono essenziali discenderà da essi un giudizio più negativo  sulla propria condizione di malattia da parte della persona o del suo contesto. 

2. Dal tipo di intervento dipende un permanere o meno nell'ottica della malattia. Bisogna ricordarsi che  il verificarsi iniziale del sintomo con la conseguente percezione di malattia interrompe un ritmo di vita  divenuto già insostenibile per la persona ma al tempo stesso un ritmo che non si sa e può modificare. Con la dichiarazione di malattia la  persona "si mette in panchina" attendendo dall'esterno le opportune modifiche per la propria condizione di vita. Il sintomo ha inizialmente un significato di protezione dal sovraffaticamento e dallo stress, significato che  perde però  rapidamente nel momento in cui non viene raccolto come segnale e spia della necessità di un cambiamento.

 L'intervento medico-psichiatrico non è generalmente orientato alla rilevazione di questo significato del  sintomo. Esso al contrario è orientato verso la conferma della condizione di malattia della persona e verso la sconferma della insostenibilità dei carichi di lavoro e responsabilità di ruolo. In quest'ambito l'ottica terapeutica proposta è quella di un eventuale momentaneo alleggerimento del carico di lavoro "fin  quando la malattia dura" ed in una ripresa del medesimo ruolo e dei medesimi compiti una volta che la  persona è stata dichiarata guarita. Ancor più specificamente la guarigione si identifica tout court con una ripresa delle medesime funzioni tralasciate o interrotte.

 L'intervento medico-psichiatrica approfondisce il percorso del sintomo attraverso i suoi giudizi e valutazioni che oscillano tra le seguenti due posizioni: 

a. una posizione si esprime nella negazione della malattia, nel senso che non vi è alcun "argano malato". In questo caso la donna viene invitata a riflettere sul fatto che nella sua vita non ha niente di cui lamentarsi; oppure che deve pensare solo al benessere dei figli e superare così questo "niente'.  Ancora  viene dato il consiglio di "distrarsi"; oppure si possono dare consigli che riguardano la tappa biologica  che la donna attraversa: sposarsi, fare un figlio, farne un altro, e così via. Nello stesso tempo però si prescrivono farmaci dando poi sostanza a questo "niente " ed alimentando ulteriori fantasie sul proprio stato di salute. La donna che si trova di fronte ad un tale intervento tecnico approfondirà ancora di più il vissuto di incomprensibilità e di paura che accompagna la sperimentazione del malessere; inoltre non traendo alcun vantaggio da consigli di questo tipo ricaverà un'immagine di sè ancora più distante e deviante rispetto agli altri modelli di donna. 

b. Un'altra posizione tecnica prevede al contrario il riferimento esplicito ad una condizione patologica  con conseguente ricorso uffìciale alla "cura". Questa in genere è di tipo farmacologico; solo secondariamente è previsto il ricorso alla psicoterapia come elemento che si giustappone al primo. Il ricorso al farmaco è posto qui come elemento necessario della cura: esso induce fortemente l'idea, o la rafforza, di una non controllabilità della situazione. Accanto al farmaco vi è la motivazione specifica (per l'assunzione di un singolo farmaco) o generale (per l'assunzione della cura farmacologica) che interviene in modo  diretto nell'ampliamento della percezione di malattia. Si è verificato infatti che nella descrizione del proprio malessere l'utente utilizzi modalità espressive tratte proprio dal rapporto con i tecnici. Un esempio  può essere dato dal vissuto di una paziente circa l'assunzione di un farmaco long-acting: "Non posso  non prenderlo perchè mi tiene legato l'Io". 

 

3. Per reazione del contesto intendiamo gli atteggiamenti assunti nei confronti della persona malata. (Le reazioni dei contesto sono da inserire nelle più ampie rilevazioni sulle differenze socio-cuturali dei vari contesti cui appartiene  ciascuna donna).

Le reazioni maggiormente collegate con l'approfondimento del disagio sono quelle che svalutano la  donna, non forniscono supporti e la privano di ulteriori ambiti e spazi di interesse personale.  Individuiamo ora tre posizioni principali del contesto. 

a. Una prima posizione consiste di giudizi di tipo: "Non hai niente, sei fissata, lo sei sempre stata, sei pigra. è tutta una finzione, ecc. ".  In questo caso si nega validità al malessere della donna, cercando di sminuire la sua credibilità. Questo  intervento comunque, anche se per qualche verso nega l'esistenza di una malattia, incide sulla donna  nell'approfondimento della svalutazione del suo punto di vista, e della percezione di incapacità. 

b. Una seconda posizione prevede il riferimento alla malattia come follia, debolezza organica e costituzionale: "sei marcia, sei pazza, devi farti ricoverare ecc.". Queste valutazioni incidono direttamente  sulla donna approfondendo l'immagine di sè carne folle e pericolosa; questa posizione mira in genere ad  un isolamento della donna attraverso il ricovero fino a quando la donna non sarà restituita "come nuova" alle sue funzioni di ruolo.

c. Una terza posizione prevede l'aiuto e la comprensione dei familiari. La donna durante la malattia viene supportata dal contesto e riceve aiuto nell'espletamento delle sue funzioni; ciò che però viene ribadito è che non appena sarà guarita la donna dovrà riprendere in toto le sue funzioni e i suoi carichi di lavoro. In questo caso la donna, pur trovando comprensione ed aiuto, non ha possibilità di vedere il proprio futuro in modo diverso, la consapevolezza di perdere "con la guarigione " anche i minimi vantaggi  secondari della malattia contribuisce a tenerla legata a questo tipo di percezione di sè.

 In sintesi le reazioni del contesto contribuiscono all'approfondimento del percorso del sintomo con queste modalità:

·        definendo il malessere come immaginario e pretendendo il mantenimento dei compiti; 

·        definendo la persona come "pazza" e priva di capacità di controllo per cui si perviene ad un esautoramento rapido di ogni funzione e competenza, limitando la vita della persona più ed oltre le limitazioni  imposte dal sintomo;

·        supportando la persona per brevi periodi, ma pretendendo il ripristino delle funzioni a breve scadenza;

·        allontanando per breve periodo (ricovero o altro) la persona dall'ambiente familiare;

·        espungendo la persona dal contesto privandola definitivamente delle sue relazioni precedenti (si pensi ad un ritorno nella famiglia di origine per quanto riguarda una donna sposata; all'intervento del giudice per l'affidamento dei figli minori ad altri ecc.). 

 


CASISTICA

 

Esaminiamo ora una breve casistica che esemplifichi le diverse situazioni di costruzione o progressione dei sintomi.  In ciascuno di questi casi si evidenzia un percorso di riflessioni in cui non compaiono più le vicende della  vita quotidiana come causa del malessere, ma dove risaltano solo le considerazioni della donna sul suo  stato di malattia. Le situazioni della vita quotidiana compaiono solo come attestazione e conferme della  malattia e del suo percorso di aggravamento. 

 

A. Un esempio esauriente di come l'intervento medicalizzante di un disagio psicologico sia capace di incrementare e rendere stabile la  percezione di malattia è dato dalla storia di una paziente approdata al Servizio donne dopo anni e anni  di cure farmacologiche.  Questa paziente (31 anni) ha iniziato la sua trafila medica saltuariamente e circa dieci anni prima. All'inizio la donna riferisce di avere sperimentato solo una sensazione di malinconia accompagnata da un senso di stanchezza e di astenia, questi periodi di malinconia erano della durata di 15 giorni ma vissuti intensamente: la paziente ricorda che in questi giorni interrompeva le sue funzioni vitali (non mangiava nè dormiva). Questi periodi -in tutto due, prima del matrimonio- erano messi in relazione con le delusioni amorose.

Successivamente dopo il matrimonio malinconia e stanchezza diventavano più stabili. La paziente ricorda  di incorrere in questo stato tutte le domeniche. Intanto anche la sintomatologia si è complicata: la paziente non sente solo stanchezza ma un forte senso di oppressione, mancanza di aria, intolleranza ai  luoghi chiusi, ai vestiti, a parti del corpo (i capelli). Questo stato è vissuto dalla donna come situazione  di crisi. L'intervento medico-farmacologico, iniziato dopo la seconda delusione amorosa, diviene più stabile: la paziente  si sottopone a cicli di cure farmacologiche per evitare la crisi.

Intanto comincia anche una riflessione sulle modalità di espressione della crisi: per la donna non vi sono dubbi, tralasciando ogni considerazione  sul tipo di vita che conduce, peggiorato dopo il matrimonio, individua nella "domenica" la causa della  crisi. D'ora in poi svilupperà una sorta di situazione di allarme e panico all'avvicinarsi della domenica nel  timore del sopraggiungere della crisi. La situazione non si modifica con i farmaci e peggiora dopo la nascita del secondo figlio. I medici, tra l'altro, avevano anche dato come consiglio pratico per superare il malessere,  di fare più di un figlio. Si assiste in concomitanza di questo evento, che sovraccarica ulteriormente la  donna di responsabilità, ad un ampliamento del sintomo: le crisi si presentano in più situazioni e non  solo collegate alla domenica; la paziente progressivamente tende a ridurre i suoi spazi e le sue abitudini  di vita per paura di star male. Il meccanismo è sempre quello dell'associazione tra crisi e determinate situazioni in cui si è presentata la crisi (per strada, in cucina, ecc.). Continua l'intervento curativo di tipo  farmacologico.

Alla nascita del terzo figlio la sintomatologia diviene ancora più massiva, alle crisi sono  associati il cibo e lo sporco. La paziente si riduce a non mangiare e a lavarsi in continuazione. Viene ricoverata: ed il ricovero è presentato come soluzione unica e sicura per il suo problema, il medico le promette la guarigione.

Quando al secondo ricovero niente muta della situazione la donna decide di morire,  convinta che nulla è più possibile fare, e tenta per la prima volta il suicidio con gli stessi farmaci prescrittile per la cura. 

In questo caso si può notare come il percorso di amplificazione del sintomo dal I° al 3° livello non è assolutamente guidato dalla percezione di una condizione di vita difficile, ma solo dalla percezione di un'amplificazione ed incontrollabilità della malattia.

Rimane nell'ombra il fatto che dopo sposata la donna resta a casa della  madre e non convive con il marito; che la famiglia del marito e quella propria la considerano responsabile della non riuscita del matrimonio e delle vicende di disoccupazione del marito. I  familiari fanno pesare alla donna il fatto che lei vive alle loro spalle con i figli, e man mano che aumentano le crisi la  colpevolizzano perchè non dà aiuto sufficiente in casa. Da dopo il matrimonio inoltre, non è previsto per  lei alcuna distrazione: la domenica, quando tutti escono, lei deve rimanere in casa per i "servizi" o per  accudire i figli. 

 

B. Paola, 31 anni, casalinga sposata, ha un figlio di tre anni. Viene al Servizio, accompagnata dal padre  e dalla sorella, con la richiesta di: "un aiuto a non avere paura di impazzire". 

- Due anni prima ( in aprile) della sua venuta al Servizio,  P. comincia a considerarsi malata nel senso che non percepisce più le eccessive richieste avanzate dalla famiglia di origine e dal marito come causa del   restringimento dei suoi spazi personali (amicizie e lavoro) ma attribuisce i suoi disturbi ad un cattivo   funzionamento del corpo.

P., infatti, rileva strani fenomeni del proprio corpo: "quando mangiavo si fermava il cuore ". Allarmata, si reca dal medico curante che le prescrive un ansiolitico. e le consiglia di distrarsi e fare un altro figlio. (I° livello del sintomo).  

- Due mesi dopo (giugno) non è riuscita a portare a termine quanto consigliato dal medico curante, ma in questi mesi ha verificato un ampliamento del suo malessere con produzione di altri disturbi provocati dalla percezione di una situazione di anormalità: è comparsa l'insonnia.

Ritorna quindi dal medico curante che le prescrive   un aumento del farmaco per un mese (ampliamento del I° livello del sintomo).  

- A Settembre si reca dal neurologo in quanto ha sviluppato la tendenza a verificare la propria funzionalità psicologica: vuole provare a se stessa di essere controllata, consapevole delle sue azioni. Inizia a verificare l'appropriatezza delle azioni che compie: in questo quadro si sviluppa un sintomo specifico che consiste nel controllare se stessa nell'azione di chiusura della porta di casa. Questo provoca un rallentamento della sua attività quotidiana e   infine ha come effetto l'evitare di uscire di casa per sottrarsi al sintomo. (2° livello del sintomo).  

- A Novembre la lettura di un articolo su un settimanale " Cronaca vera" la sconvolge: una madre ha ucciso il figlio. La verifica della propria sanità con il confronto di un tale modello di madre e di follia innesca un meccanismo che la induce a provare le sue capacità di controllo in questo ambito. Infatti prepara il  latte alla figlia ma poi lo butta via per controllare se effettivamente ha messo dentro dei "pezzetti di vetro" o altro materiale lesivo. Fa il letto della figlia, ma poi lo disfa per controllare se ha effettivamente messo dei coltelli. Non riesce più a preparare la figlia per mandarla a scuola: come effetto si ha che la figlia non frequenta più la   scuola. (Ampliamento del 2° livello del sintomo: confronto con una immagine sociale di follia, appresa   attraverso i mass-media). 

 - Rapidamente (circa in un anno) la situazione si aggrava in quanto la donna instaura ulteriori meccanismi di controllo delle sue capacità che invadono completamente il suo quotidiano.   Nasconde infatti in continuazione coltelli e forbici per paura di perdere il controllo e di usarli contro di sè   o contro altri e ciò le impedisce drasticamente lo svolgimento delle mansioni domestiche e delle funzioni di accudimento.

Con il marito  non va d'accordo. Ha un blocco totale della sua attività quotidiana, non riesce più ad essere madre, moglie e casalinga. Non ha più amiche, nè un lavoro. Si sente completamente sola e senza interesse per la   vita.

Poche settimane dopo viene al Servizio con la percezione di: "confondermi nell'immagine di quello che devo fare" (3' livello del sintomo).

Questo caso rappresentai il assaggio da un primo livello caratterizzato da una disfunzionalità fisica: "si   ferma il cuore" e "insonnia", ad un terzo livello caratterizzato da situazioni di paura: "paura di perdere   il controllo e di uccidere la figlia"; dal blocco totale delle sue funzioni e dalla percezione di uno stato di   confusione generalizzato.

  Nel passaggio dal 2° al 3° livello del sintomo appare determinante l'atteggiamento del contesto familiare (sia il marito che la madre): alle prime difficoltà nell'adempimento dei compiti di madre e donna di casa, manifestatesi con i primi disturbi fisici e con un loro ampliamento attraverso la paura della perdita   del controllo, il contesto reagisce negando un minimo aiuto alla donna e giudicandola ormai una madre   e una donna "fallita".  

 

C. Questo è il caso di una donna di 35 anni che comincia a star male quando una sensazione di stanchezza, diffusa quasi immotivata, la induce a spostare l'attenzione sul proprio corpo. Alcuni episodi di ipotensione arteriosa vengono letti come la causa di questa sua stanchezza. Il disturbo è percepito come l'irruzione di una patologia che le impedisce di svolgere le proprie funzioni nel modo richiesto dal contesto.  

L'intervento del Servizio ha evidenziato come tale disturbo abbia acquistato un significato particolare e dominante nel periodo della stanchezza, ma in realtà esso è sempre stato presente nel corso della vita  della paziente in quanto anche il padre soffriva di "cali di pressione".  

La costruzione del sintomo prende spunto dalla stanchezza e si orienta sui cali di pressione come segnali di malattia. A questa stanchezza fisica vengono collegate le modifiche comportamentali, mancanza di entusiasmo e di interesse nello svolgere le attività di casa, mancanza di piacere   nei rapporti sessuali, "un corpo che non risponde al contatto fisico è un corpo malato", percezione di incapacità nel ruolo materno. In questo contesto la donna ha un primo incontro con il tecnico che definisce  il suo disturbo come: " espressione sintomatica di una crisi nervosa". Prova la cura farmacologica prescrittale, ma la stanchezza, l'apatia e i cali di pressione non diminuiscono e quindi decide di rivolgersi ad  un tecnico specializzato (neurologo) che le diagnostica una depressione.

Con fiducia prende gli psicofarmaci prescritti ma non ne trae alcun beneficio: la pressione si mantiene sempre su livelli minimi (anzi si  abbassa ulteriormente per effetto degli psicofarmaci).  Il giudizio del medico curante ed i giudizi del marito sull'incapacità della moglie di reagire al malessere fisico e di svolgere il ruolo materno la inducono a chiudere tutti i canali di comunicazione con il marito e  ad immergersi sempre più nelle riflessioni sul suo modo di essere.

Il motivo della presenza costante e disturbante di tali malesseri fisici, il motivo della mancanza totale di interessi generali e in particolare nella sfera sessuale, il motivo del suo allontanamento dal marito e della sua intolleranza verso il figlio sembrano alla donna dipendere dall'alterazione "del suo stato nervoso". A confermare l'idea che si tratta di un disturbo fisico  radicato nel tempo, è il ricordo di quando adolescente ebbe una crisi di pianto e tremori che il neurologo  definì "una crisi nervosa".

Si staglia così nella sua mente l'idea della diversità e si sente responsabile  del fallimento della sua vita. Non riesce più a controllare il pensiero, riduce le sue uscite comprese quelle relative all'espletamento delle funzioni domestiche, teme di diventare pazza. Prende la decisione di  andare dal neurologo che le diagnostica una depressione.

Con fiducia prende gli psicofarmaci prescritti  ma non ne trae grossi benefici. Si sente incastrata nel ruolo materno, con le paure che invadono il quotidiano: paura di sentirsi male per strada, paura di stare sulla strada della pazzia nonostante l'assunzione dei farmaci. Sente quindi la necessità di un intervento tecnico più qualificato. Si rivolge al nostro Servizio in cerca di qualcuno che l'aiuti soprattutto a capire cosa le stia succedendo. 

Questo caso ci illustra la costruzione del sintomo nel passaggio dal 1° al 2° livello. I disturbi che hanno origine dal  corpo sono vissuti come una propria disfunzionalità fisica e tale percezione viene  convalidata dal giudizio del tecnico che la definisce come malattia. Il passaggio al secondo livello avviene nel momento in cui l'intervento del medico non attenua la sintomatologia. Quindi ciò facilita l'insorgere di altre strategie di controllo del sintomo che le permettono di individuare le situazioni più pericolose per sè ed evitarle chiudendosi in quella casa che è sì protezione dai rischi esterni, ma è anche prigione e costrizione nell'unico ruolo di madre. 

 

D. Un caso esemplificativo della costruzione veloce e massiva del sintomo che si verifica nella fase dell'adolescenza, è Caterina. La ragazza arriva al Servizio all'età di 17 anni. La storia dei suoi sintomi è iniziata 2 anni prima. A 15 anni Caterina è diventata una ragazza triste e inappetente. La motivazione ufficiale è la lontananza del fidanzato che sta facendo il servizio militare. L'attesa spasmodica delle telefonate serali del ragazzo, che sono diventate l'unico interesse di Caterina, e la sua ansia costante rispetto allo stato di salute del fidanzato, sono vissute con scherzoso compiacimento dai suoi genitori. L'atteggiamento della ragazza è la conferma che il loro progetto, perseguito per ben due anni, è stato realizzato. Sono stati infatti loro a persuadere Caterina a intraprendere questo rapporto sentimentale, impiegando tutti i mezzi a loro disposizione in quanto genitori. Inoltre la tristezza e l'atteggiamento apprensivo della figlia risolve il problema, spinoso per loro, delle uscite e dei rapporti amicali, vissuti dall'infanzia della ragazza, come estremamente minacciosi.  Quando torna il fidanzato la situazione evolve nel senso che Caterina diventa ossessivamente gelosa.  Soffre per la diversità che scopre fra lei e le altre ragazze, per la differenza fra la sua "pesantezza" e l'altrui "leggerezza".

Questo la conferma nella sua insicurezza e la persuade, definitivamente, di avere un bisogno assoluto del fidanzate.

Quando Caterina arriva al Servizio, l'anno dopo questi eventi, ha strutturato tutta una serie di "pensieri" da cui ormai si sente intrappolata. Ha pensieri di aggressione, attuate da lei a da altri, contro i suoi cari. La sera devo controllare finestre, porte, cassetti, coltelli, tutti i ferri, i fili, le forbici. Ripensa continuamente alle cose dette o fatte e non è convinta di averle dette o fatte. Fa fantasie sessuli  e poi non è sicura che non siano solo fantasie. Per avere delle certezze deve parlare con il fidanzato o con  la madre. In questo caso l'atteggiamento di chiusura della ragazza, le sue ansie non sono interpretate  come malesseri: la famiglia infatti tende a vederli come atteggiamenti positivi che vanno nella direzione dei loro progetti.

In questo caso è però importante evidenziare quanto Caterina sia un soggetto ulteriormente a rischio.  Infatti vive con molta "fatica" lo svolgimento delle sue attività quotidiane, ostacolate dalla presenza del sintomo. Questo potrebbe, in poco tempo, indurla ad una chiusura dei suoi spazi (scuola, amici) e quindi compromettere definitivamente i suoi progetti di vita, e arrivare così a quella riflessione "disperata"  sulla propria condizione di vita (3' livello del sintomo). Vi è inoltre l'altro rischio di aver focalizzato l'attenzione sul fidanzato e di trovarsi in una assoluta posizione di dipendenza da quest'ultimo; un'eventuale perdita sarebbe vissuta come fallimento totale e potrebbe aprire la porta anche ai numerosi tentativi suicidari della adolescenza.).

 

 E. Un esempio di progressione del sintomo dal 1° al 3° livello ci viene da Maria, una donna di 29 anni, coniugata, madre di 4 figli. Quando arriva al Servizio donne, Maria ha 26 anni e non ha ancora il 4° figlio.

Riferisce di essere disperata, è convinta che il suo destino sia segnato dal diavolo che abita nel suo corpo  sotto la forma di un serpente. A volte il diavolo cambia aspetto: è un teschio che la guarda continuamente, è una vecchia vestita di nero, è un uomo di mezza età che vive tra le rovine di una casa distrutta  dal terremoto. Attraverso il lavoro clinico si riesce ad individuare che prima della comparsa delle immagini che la terrorizzano, Maria ha avvertito un forte stato di stanchezza.

La stanchezza è iniziata durante la gravidanza del 3° figlio ed è progredita dopo la nascita di questi. Non riesce più a sbrigare le faccende di casa, si sente svenire ogni volta che deve occuparsi del neonato, piange spesso. L'intervento del medico di famiglia e i giudizi dei familiari indirizzano la spiegazione della stanchezza con i fenomeni ad  essa correlati, in termini di disturbi psichici. Inizia un approfondimento del malessere (dal 1° al 2°livello) anche in dipendenza dalle reazioni del contesto familiare: alle sue richieste di aiuto non solo al marito ma anche alla madre e alla suocera riceve in risposta accuse di inidoneità a svolgere il ruolo di madre.

Il carico di lavoro e di responsabilità, che ormai non riesce più a sopportare, rimane invariato. Maria  non esce più dalla sua abitazione non solo perchè la riflessione sui suoi malesseri allunga i tempi del lavoro domestico sottraendole di fatto la possibilità di uscire ma soprattutto perchè ha paura del verificarsi dei malesseri (in particolare degli svenimenti) all'esterno. La chiusura in casa e l'interruzione di ogni  rapporto con l'esterno determina la riflessione su una propria "diversità, anormalità" e la convincono  che questa diversità sia notata dagli altri.

In questa situazione di chiusura in casa e quindi di mancanza  di rapporti sociali, si verifica l'abbandono del marito. Alle accuse di tradimento e alle proteste di M. il  marito reagisce assumendo un atteggiamento di imperturbabilità; non solo non si giustifica ma attribuisce a lei la colpa, alla sua incapacità ad essere una moglie e una madre normale, alla sua "immotivata" stanchezza e alle sue continue lamentele.

 L'abbandono da parte del marito e l'attribuzione a lei di  ogni responsabilità hanno come effetto immediato lo strutturarsi in Maria della percezione di una propria follia come spiegazione della propria "diversità". 

Entra in campo il modello della follia paterna (il padre era stato ricoverato per un periodo in manicomio),  si fa strada la convinzione di poter commettere atti inconsulti, di non poter, quindi, controllare se stessa. 

La perdita dell'unico sostegno (il marito) radicalizza l'isolamento di Maria e aumentano le sue responsabilità in un momento in cui maggiori sono le sue esigenze di sostegno e di alleggerimento del carico di  lavoro e di responsabilità. Questa situazione la induce a compiere un atto risolutivo estremo: dar fuoco  alla casa e morire con i figli.

Ciò non accade, riesce, infatti, a scampare all'incendio con i figli, in extremis.  Quando arriva al Servizio donne dopo un ricovero in ambiente psichiatrico, porta come spiegazione di  questo atto la presenza nel suo corpo del diavolo. Si definisce una "pazza indemoniata ". Alla visione demoniaca di sè contribuiscono, non poco, elementi culturali del suo contesto ambientale. Prevalgono in  esso, infatti, stereotipi di cultura religiosa e contadina, per i quali eventi e comportamenti abnormi e imprevedibili sono da attribuirsi, proprio per la loro incomprensibilità, a creature non strane, misteriose e  diaboliche. La percezione di sè quale "pazza indemoniata" rappresenta quello che abbiamo definito il  3° livello del sintomo: il ricorso ad una spiegazione globale (in questo caso religiosa nella veste del demonio) del proprio stato e della propria incapacità ad essere una buona madre.

Tale spiegazione tralascia, i rapporti reali che Maria ha con il contesto ambientale.  Solo dal lavoro clinico si riuscirà ad analizzare la specificità di questi rapporti e a evidenziare lo stato di  soggezione-oppressione della donna che precede e accompagna la progressione dei sintomi psichici. 

 

 

 

     

 

 

 


 

 APPENDICE

 


SCHEMA A

 

PERCEZIONE DI INSOSTENIBILITA'

Contesto

Richieste alla donna di farsi carico di ulteriori compiti e responsabilità materiali ed affettive.

 Ampliamento dei carichi e dei compiti di ruolo

Donna

Restringimento dei propri spazi di vita; percezione di gravosità. Domanda di aiuto al contesto

 

 

PERCEZIONE DI INCAPACITA' E

PERCEZIONE DI IMMODIFICABILITA'

 

 

Contesto

Domanda di aiuto respinta.

 Legittimazione delle richieste di sovraccarico attraverso il richiamo ai modelli di ruolo. Attribuzione

di incapacità alla donna.

 

Donna

Adesione al punto di Vista del contesto, condivisione dei criteri di legittimità dei modelli.

Percezione di una propria incapacità nell'adempimento dei compiti di ruolo e nell'assunzione di responsabilità personali.

 

 

PERCEZIONE DI MALATTIA

 

Contesto

 

Mantenimento delle richieste, rinforzo del giudizio di incapacità;

attribuzione della incapacità ad una diversità: "sei diversa dalle altre donne e quindi non vali, sei l'atta male, sei snaturata, sei pazza, ecc.

 

Donna

 

Adesione al punto di Vista del

Perdita graduale della percezione di gravosità dei costi e delle responsabilità; con ampliamento della percezione di incapacità.

Inspiegabilità della stanchezza in termini di pesantezza dei compiti, e sua attribuzione a malattia.

Attenzione al malessere fisico e psichico: costruzione del sintomo.

 

 


 

Schema   B

 

RACCOLTA SISTEMATICA DELLE MODALITA' DI MANIFESTAZIONE DEL MALESSERE PSICHICO COSIICOME RIFERITO DALLE  DONNE UTENTI DEL SERVIZIO (ANNI 1981-85)

 

 

LIVELLO DEL CORPO

Disturbi percepiti come direttamente provenienti dal corpo e caratterizzati da disfunzionalità fisiche

 

 

 1. Mal di testa, giramenti ,testa vuota 2. Mal di stomaco, nausea, vomito

3. Mal di schiena, dolori alla colonna 4. Dolori articolari, blocchi, irrigidimenti

5.Dolori addominali e vescicali ,bruciori

6. Cuore: palpitazioni, tachicardia,disturbi  circolatori, sbalzi di pressione. collassi

7. Vertigini, sbandamenti,svenimenti (senso di)

 8. Tremori, sudori

9. Senso di stanchezza,spossatezza, torpore

10. Allergie cutanee.caduta capelli 11. Disturbi vista, udito, tatto

 12. Disturbi nel parlare (tremito voce, ecc.)

13.Disturbi del cielo sonno-veglia

 14. Disturbi del ritmo alimentare

 15. Turbe del ciclo mestruale e della sfera     genitale

16. Turbe delle capacità intellettive:concentrazione, memoria, apprendimento

17. Turbe del carattere e della volontà: debolezza

18. Turbe dell'umore: pianti Improvvisi, tristezza immotivata.

 19. Turbe nell'autopercezione corporea.

LIVELLO CORPO-MENTE

Disturbi collegati a situazioni caratterizzate da paura, senso di incapacità e accompagnate da accentuazione dei disturbi fisici

 

1. Paura di svenire, di sentirsi male,di morire

2. Paura di star sola

3. Paura di uscire, viaggiare

4. Paura di luoghi specifici

5. Paura di persone. animali. oggetti 6. Paura che altri stiano male

 7. Paura di perdere il controllo

8. Paura che altri perdano il controllo 9. Incapacità (paura di non essere capace di)    relativa a determinati e abituali modi di    essere

 10. Incapacità relativa allo stare In determinate situazioni (sociali) o luoghi abitua li

11. Incapacità relativa allo svolgimento di determinate funzioni (abituali o meno)

12. Incapacità relativa al provare determinati sentimenti (o al non provare)

13. Paura di essere diversa; incapacità ad essere come gli altri.  

LIVELLO DELLA MENTE Riflessione sulla propria condizione caratterizzata da pensieri negativi su di sé e da attribuzione di responsabilità

 

 

l. Diversità dagli altri

2. perdita di sentimenti propri ed abitua li

3. Perdita di modi di essere e di interessi personali

4. Senso di vuoto e di inutilità

5. Senso di estraneità, non riconoscimento    di sé e degli altri

 6. Senso di isolamento,di distanza dagli    altri

7. Mancanza di progetti e desideri

8. Pensiero Improduttivo, mancanza di capacità di riflessione, attenzione

 9. Disperazione, impossibilità oggettiva    al superamento della situazione, desiderio di morire

 10.  Attribuzione di responsabilità a pen-sieri, idee voci, presenze dannose a   sé o ad altri

11.  Attribuzione di responsabilità a se   stessa In quanto "mal fatta" o "fatta   diversamente con più o meno capacità"

12.  Attribuzione di responsabilità ad altri perché mi hanno fatto qualcosa.      o vogliono farmi qualcosa"; perché      hanno un piano su di me o contro di      me".