Obiettivo 2001: Una Salute a Misura di donna

 

 


Capitolo 12

 

Conclusioni  del gruppo di  lavoro

 

LA MEDICINA DI GENERE:

UN NUOVO PROFILO DELLA RICERCA E DELLA CLINICA

 

 

 

1.      la sintesi del lavoro di gruppo

 

Ci sembra utile una sintesi dei diversi contributi, che pur non rappresentando l'intero settore medico, consentono una sufficiente generalizzazione  in grado di mettere in risalto una serie di evidenze comuni e condivise.

Patologie psichiche con specifico riferimento a Depressione e Schizofrenia

      Le statistiche internazionali (World Health Report 2000 Database) mostrano che le patologie psichiche (depressione maggiore, disturbi d’ansia, disturbi alimentari) sono prevalenti ed in crescita tra le donne all’interno della popolazione generale. Le statistiche nazionali (Istituto Superiore della Sanità) confermano questo trend. La depressione in particolare costituisce la principale causa di disabilità tra le donne di età compresa tra i 15 ed i 44 anni. I tassi di prevalenza per depressione nelle donne sono da 2 a 3 volte superiori a quelli negli uomini; per i disturbi di panico le diagnosi che le donne ricevono sono in un rapporto che varia da 3-4:1 rispetto ai maschi.

      I tassi di prevalenza per la depressione nelle donne rispetto agli  uomini si evidenziano in crescita a partire dalla prima adolescenza: le adolescenti femmine incorrono più facilmente nel rischio di patologia ed inoltre sono soggette a patologie, come i disturbi alimentari, dove il rapporto maschi/femmine è di 1:9 (le femmine rappresentano il 90% della totalità dei casi). Nonostante queste evidenze, non emergono nelle politiche sanitarie nazionali, programmi sia di intervento che di ricerca mirati alla  prevenzione e al trattamento nell’ottica di genere.

In crescita al contrario l’intervento farmacologico che vede le donne al primo posto nel consumo di psicofarmaci: in Italia i dati ISTAT del 1994 parlano di 5,5 milioni di consumatori di psicofarmaci (tranquillanti ed antidepressivi), tra questi le donne sono 3,7 milioni e gli uomini 1,7 milioni. Nello stesso tempo la ricerca svolta, esclusivamente sul modello maschile, come in tutti i campi della farmacologia rivolta ai due generi, non dà indicazioni valide per le donne e per la loro specificità di genere.

      Nel caso di altre patologie mentali come la schizofrenia, la prevalenza è lievemente più alta negli uomini rispetto alle donne, ma gli ultimi dati (World Health Report 2000) indicano che le donne hanno superato, anche se di poco, gli uomini in termini di prevalenza. I problemi delle donne ancor di più sono sottovalutati e l’attenzione alla differenza di genere è ancora minore. Vi è quindi evidenza in questo ambito della patologia psichica che le donne:

- hanno la prima ospedalizzazione più tardi, sia perché si ammalano più tardi, sia perché giungono all’osservazione più tardi per caratteristiche di malattia meno allarmanti;

- tendono a ricevere meno trattamento sia ospedaliero che ambulatoriale e riabilitativo perché i contesti di cura danno la priorità a casi gravi e gravissimi sotto l’aspetto del disturbo ambientale;

 - patiscono di più, nel trattamento farmacologico, di alcuni effetti collaterali dovuti a dosaggi “a misura d’uomo”  troppo elevati.

Per ambedue le patologie, le ricerche sui fattori eziologici e di rischio sono principalmente orientate a valutare in modo esclusivo o principale la correlazione tra la patologia ed i fattori biologici-ormonali tralasciando in via pregiudiziale (diversamente da come viene fatto per gli uomini) l’esplorazione di altri fattori come quelli psico-sociali e lavorativi.

La patologia cardio-vascolare

Esistono evidenze epidemiologiche in tutto il mondo occidentale che la malattia cardio-vascolare sia il killer numero uno per la donna e che superi di gran lunga tutte le cause di morte.(Fonti del National Institute of Statistics USA 1995, dati Ansa Europei 1998, non ancora pubblicati; dati italiani ISTAT 1994). Nel World Health Report del 1999 si evidenzia come l’Hischaemic Heart Disease sia la principale causa di morte per le donne in tutti i paesi, con un tasso di mortalità lievemente superiore a quello maschile; ed è la prima causa di morte per le donne di età compresa tra i 44 – 59 anni.

Nella malattia cardiovascolare - in particolare nella cardiopatia ischemica - tutti i tests diagnostici (prova da sforzo e test di imaging) fino ad ora utilizzati nella pratica clinica sono creati sul modello maschile e risultano meno efficaci nelle donne. Dal punto di vista diagnostico mancano linee-guida per la definizione dei sintomi tipici per la donna nell’infarto: ancora oggi si dice abitualmente che la donna è affetta da un dolore atipico, e l’approccio alla donna rimane poco sistematizzato e affidato alla soggettività dell’operatore.

Dal punto di vista del  trattamento va sottolineato che tutti i trials disponibili sono stati confezionati sul modello maschile; ciò vuol dire che gli interventi farmacologici (ad esempio i trombolitici) non adeguatamente dosati rispetto alla superficie corporea della donna (a parità di peso corporeo)  comportano maggiori complicanze emorragiche; ed ancora, che la pratica interventistica (by-pass e angioplastica coronarica) non testata sui vasi  e le arterie coronariche, più piccoli nelle donne, ha comportato tassi più elevati di insuccesso terapeutico e maggiore rischio di morte.

I fattori di rischio poi sono studiati in maniera pregiudiziale: sopravvalutazione dei fattori biologici e ormonali  e sottovalutazione dei fattori ambientali e lavorativi (in particolare dello stress). Negli uomini al contrario le patologie cardiovascolari trovano ampio spazio nella ricerca  sullo stress lavorativo come principale fattore di rischio.

Le patologie tumorali

Cancro del polmone

Pur restando prevalentemente maschile, è in declino tra  gli uomini mentre cresce fra le donne anche nel nostro paese. La mortalità tra le donne è aumentata del 18% mentre per gli uomini è diminuita del 4% (stima degli anni 1984-94). Secondo le stime dell’OMS il tumore al polmone (insieme ai tumori della trachea e dei bronchi) è la terza causa di morte nella popolazione generale europea  (World Health Report 1999).

      Nel prossimo decennio è prevista una emergenza di cancro al polmone tra le donne.

Il principale fattore di rischio è il fumo. Vi sono statistiche che indicano che le ragazze iniziano a fumare in età più precoce rispetto ai maschi e smettono più difficilmente.

La prevenzione primaria (ad esempio quella relativa al fumo di tabacco) è sostanzialmente gender blind, cioè priva di messaggi specifici per ragazze e donne ad eccezione delle misure di prevenzione indicate solo per il periodo della gravidanza.

Una prevenzione primaria più efficace dovrebbe esplorare le differenze di genere e socio- culturali legate alle ragioni di inizio del fumo e le altre cause ambientali di rischio.

Cancro al seno[1]

E’ un tumore con incidenza pressoché esclusiva tra  le donne (circa il 100%), inoltre questo tumore è la terza causa di morte tra le donne di tutte le età nei paesi high-income (World Health Report, 1999).

Il tumore mammario, essendo una patologia “di genere femminile” gode di un’ampia attenzione con risposte sanitarie appropriate nella donna post-menopausa – a cui si consiglia una mammografia annua. Per le giovani donne sarebbe opportuno implementare programmi di autopalpazione del seno e fornire maggiori informazioni sull’uso di termografia ed ecografia per le ragazze asintomatiche - in quanto tecnologie alternative alla mammografia (che comporta una esposizione a raggi X).  Purtroppo la prevenzione del carcinoma mammario è quasi esclusivamente secondaria, ovvero mirata alla  diagnosi precoce e al trattamento.

La prevenzione primaria è alquanto lacunosa e si concentra su fattori eziologici ereditari e su quelle che vengono considerate “scelte personali”. In altri termini la prevenzione del cancro al seno è fortemente individual-oriented giacchè è basata soprattutto sulle influenze genetiche e sulle scelte di lifestyle.  Solo molto recentemente anche per i tumori femminili (seno e organi riproduttivi) è stata studiata l’esposizione a fattori chimici e fisici nell’ambiente di vita e di lavoro  (per i tumori maschili ciò costituisce la regola).

       In generale vi è evidenza, nell’ambito delle patologie tumorali che riguardano le donne in via esclusiva o meno,  di una sottovalutazione dei rischi collegati all’ambiente, alle attività lavorative sia domestiche che extra-domestiche.

La patologia dell’utero

In ginecologia esiste evidenza di un uso estensivo ed improprio dell'isterectomia a fronte di diagnosi anche benigne che non giustificherebbero l'asportazione dell'utero.

L’isterectomia è un intervento ginecologico molto diffuso con incidenze molto diverse da paese a paese (alla fine degli anni 80 si contavano 160 interventi su 100.000 donne in un anno in Norvegia e 550 negli stati Uniti). Questa ampia diffusione dell’intervento non risponde a criteri di appropriatezza ed efficacia. In Italia, in cui l’incidenza è stimabile intorno ai 400 casi su 100.000 donne per anno, vi è evidenza, desumibile dai dati di alcune regioni, di un trend in crescita.

Nell’approccio alla patologia dell’utero si osservano indicazioni di trattamento non sufficientemente fondate; mancano infatti protocolli certi che definiscano e differenzino in modo adeguato le situazioni cliniche in cui è più appropriata, rispetto all’intervento di isterectomia,  una terapia medica o  una terapia chirurgica conservativa.

La pratica diffusa della isterectomia tende a sottovalutare nella donna il criterio del rispetto della integrità della persona. Questa pratica  è fondata invece sull’idea che il valore dell’organo “utero” sia limitato alla sola funzione riproduttiva e che la sua asportazione non crei danno alla donna quando la funzione riproduttiva decresca o si esaurisca  con la menopausa.

La patologia gastroenterologica

I disturbi cronici gastrointestinali sono molto frequenti nella popolazione e colpiscono soprattutto le donne. Studi epidemiologici effettuati in diversi Paesi hanno rilevato un’alta prevalenza (30-60%) nei pazienti con disturbi cronici gastrointestinali, che frequentemente non hanno alcuna, o solo parziale giustificazione in riscontri obiettivabili, di una storia di violenza sessuale e/o fisica subita nel corso della vita. Indipendentemente dalla diagnosi medica, tanto più la violenza subita è grave tanto più severi sono i sintomi, minore è la risposta alla terapia e peggiore è la qualità della vita.

I primi dati italiani indicano che la prevalenza dei maltrattamenti fisici e/o sessuali nei pazienti afferenti ad una struttura specialistica per disturbi cronici gastrointestinali è pari al 32%, confermando i dati epidemiologici degli altri Paesi.

La violenza sessuale e/o fisica subita durante l’età adulta si riferisce esclusivamente al sesso femminile, quella subita durante l’infanzia è rivolta contro entrambi i sessi. L’analisi della relazione tra violenza e stato di salute induce a ritenere che la violenza subita, in presenza di un disturbo cronico, aggravi lo stato di sofferenza con deterioramento dello stato psicologico e sviluppo di “un alterato comportamento da malattia”, cui può far seguito un’amplificazione dei sintomi e/o della sofferenza, con scadimento delle condizioni generali di salute.

Dal punto di vista medico data la frequente associazione tra maltrattamenti subiti e disturbi cronici gastrointestinali, sempre più si rende necessaria nella gestione clinico-terapeutica di questi pazienti considerare ed indagare in maniera corretta gli aspetti psicosociali.

La comunità medica è quella che insieme con il sistema giudiziario più frequentemente viene in contatto con le vittime, rappresentando un primo filtro nel riconoscimento e nella gestione del fenomeno. A tutt’oggi però a fronte del ruolo che il medico può esercitare nella prevenzione e nel trattamento delle conseguenze che la violenza ha sulla salute c’è una rilevante carenza di informazione.

  Le patologie da lavoro

Nel campo della Medicina del lavoro e della prevenzione dei rischi lavorativi è evidente che, con l’eccezione delle norme per la tutela della lavoratrice in gravidanza, esiste una forte carenza di conoscenze dei rischi e dei danni lavorativi tra le donne.

Le malattie professionali e gli infortuni sono molto più frequenti tra gli uomini che tra le donne, e questo è da attribuire alla maggiore presenza di uomini nei settori ad alto rischio, quali l'edilizia, le miniere e i trasporti. Tuttavia, non è possibile descrivere con precisione l'incidenza, la distribuzione e i fattori che determinano gli infortuni e le malattie professionali perché i dati pubblicati dagli enti preposti (INAIL, ISTAT, ISPESL), non sono sufficientemente dettagliati nè sempre disaggregati per sesso.

Oggi queste carenze sono ancora più ingiustificate, dal momento che le donne entrano sempre di più nei settori che storicamente erano occupati solo o in prevalenza dagli uomini.

In maniera più evidente è oggi necessario uno studio delle differenze tenendo presente che l'organismo femminile reagisce in modo diverso da quello maschile in rapporto alle diverse  esposizioni lavorative.

Uno dei fattori di rischio psico-sociale, che maggiormente colpisce le donne,  è ampiamente trascurato dalle ricerche e dagli interventi di prevenzione: si tratta dello stress che le donne subiscono più degli uomini per via del doppio carico di lavoro (familiare ed extrafamiliare). Altrettanto trascurato è il rischio da fatica fisica e psichica. Non esistono parametri di misura del lavoro familiare dal punto di vista del rischio (peso, pressione) e dei suoi aspetti positivi (es. soddisfazione).

L'attività lavorativa è meno presa in considerazione per le donne nella eziologia di molte patologie, in contrasto con molte evidenze. Alcuni recenti studi, in contro-tendenza, suggeriscono la correlazione tra alcune patologie tumorali (come il tumore al rene, al polmone, la leucemia e il linfoma) e l’esposizione ad alcuni solventi ed idrocarburi nelle lavoratrici industriali e nelle donne addette al lavoro agricolo (Reykjavik, 1998).

Un riflesso della carenza di informazioni, parametri, linee guida che tengano in conto  sia la specificità biologica che la condizione  professionale femminile si evidenzia nella Medicina Legale[2].

In questo ambito, da porre ancora sotto-osservazione, si registra  una presenza preponderante dei maschi: la capacità lavorativa misurata è  quella tratta dal modello maschile, non vi sono indicazioni per misurare la capacità lavorativa femminile, per quantificare i rischi -che non siano quelli della gravidanza  (che spesso sono sopravvalutati e iper-protetti creando altri tipi di problemi) - ed in particolare  manca ovviamente la possibilità di misurare la capacità lavorativa familiare e con essa la possibilità di misurare i danni che si producono in rapporto ad una qualsiasi disabilità transitoria o permanente.

L’HIV e le malattie  a trasmissione sessuale

                Dalle recenti statistiche mondiali sulla mortalità da HIV emerge che le donne hanno raggiunto gli uomini  nei tassi di mortalità. Il  World Health Report del 1999 (anno di rilevazione:1998)  indica che nella fascia di età 15- 44 anni l’HIV è la principale causa di morte per donne ed uomini (rilevazione complessiva sui paesi membri del WHO) Nel World Health Report del 2000 (anno di rilevazione: 1999), le donne hanno superato gli uomini nella mortalità per causa da HIV.

Questo notevole  incremento tra la popolazione femminile (principalmente dei paesi Low Income) indica che vi è stata una sottovalutazione  del rischio di diffusione nella popolazione femminile e soprattutto una sottovalutazione delle cause di diffusione che vedono oggi  le donne come categoria a più  alto rischio di contagio. Questo per tre ordini di fattori:

-          fattori biologici: la maggiore area di mucosa esposta al contagio, il maggiore tempo di deposito dello sperma in vagina; ed inoltre la maggiore concentrazione di HIV nello sperma più che nel secreto vaginale;

-          fattori psicologici: vi è una titubanza femminile nella richiesta di un rapporto protetto ad un partner spesso incurante o resistente a comportamenti preventivi; inoltre molte ragazze alle prime esperienze cedono alla richiesta di rapporto sessuale dopo pressioni psicologiche o ricatti affettivi, talvolta dopo minacce, violenze verbali o fisiche;

-          fattori sociali: la proibizione della chiesa cattolica rispetto all’uso del preservativo – non solo come contraccettivo ma anche come mezzo di prevenzione del contagio.

Le conseguenze della violenza

La violenza è un evento frequente nella vita delle donne. Una ricerca italiana ha mostrato che, in un campione di utenti di diversi servizi socio-sanitari, una donna su 10 aveva subito violenze fisiche o sessuali nei dodici mesi precedenti l’inchiesta. Gli autori di queste violenze erano quasi sempre uomini che la donna conosceva bene: partner (marito, compagno, fidanzato) o ex-partner; padri e fratelli; compagni di scuola e colleghi di lavoro.

 Le violenze – che si tratti di violenza sessuale nell’infanzia o nell’età adulta, di maltrattamenti dal partner, di molestie sessuali sul luogo di lavoro – possono avere conseguenze anche gravi sulla salute delle bambine e delle donne.

Oltre alle lesioni che possono rappresentare il risultato immediato della violenza, sono state evidenziate finora conseguenze su diverse forme di sofferenza mentale, sui disturbi dell'alimentazione (anoressia e bulimia), sulle dipendenze (alcol, droghe), sui disturbi sessuali e ginecologici, sui problemi gastrointestinali.

Altre ricerche hanno mostrato che le donne che hanno subito violenza usano più spesso delle altre i servizi sanitari: medico di base, servizi di psichiatria e per le tossicodipendenze, pronto soccorso. Si può dire che la violenza rappresenti un fattore di rischio importante per la salute delle donne, di cui il personale sanitario dovrebbe tenere conto.

 Le risposte sanitarie rispetto a questo problema sono però carenti: manca l’informazione dei medici di base e degli specialisti, mancano protocolli di intervento e linee guida per far emergere il collegamento tra la violenza e problemi di salute. E’ necessario quindi sviluppare interventi orientati sull’analisi della violenza come fattore di rischio in molte patologie.

L’epidemiologia   e la statistica sanitaria 

In Italia, se si escludono i dati sulla mortalità, non si sono sviluppate finora metodologie ed orientamenti mirati sulla differenza di genere e sulla raccolta dei dati biomedici e sanitari disaggregati per sesso. I dati nazionali centralizzati (Ministero della Sanità) che prevedono la variabile di genere, sono limitati all’analisi delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO).

Sulla popolazione generale lo stato di salute è misurato da indagini dell’ISTAT che si riferiscono non tanto ai dati tratti dai servizi sanitari quanto ai dati sulla “percezione di salute” desunta da interviste dirette alla popolazione.

Vi è d’altra parte evidenza che nei servizi sanitari territoriali  (dove l’utenza è mista) non vi siano orientamenti né indicazioni rivolte agli operatori sulla necessità di raccogliere e presentare dati differenziati per sesso (oltre che per altri parametri significativi come l’età, la occupazione, ecc.) ad ogni livello di indagine (diagnostico, trattamentale, ecc.).

Soprattutto i medici, per carenza di informazioni e di formazione curriculare, sottovalutano l’orientamento alla raccolta dei dati disaggregati per sesso, misconoscendo il valore di questa pratica per la ricerca di trattamenti più adeguati e funzionali, e per la prevenzione mirata.

La ricerca clinico farmacologica

Storicamente per lo sviluppo di studi clinici di primo impiego di nuovi farmaci vengono reclutati soggetti adulti di sesso maschile. Ciò è stato a lungo giustificato con le seguenti argomentazioni:

a.        difficoltà nel reclutamento e nel mantenimento di donne nei trials clinici;

b.       preoccupazioni circa le interferenze indotte dalle variazioni ormonali fisiologiche femminili sull’effetto delle sostanze farmacologiche;

c.        desiderio di non esporre a rischi di tossicità donne potenzialmente fertili;

d.       timore di apportare danni a tessuti fetali.

Sfortunatamente se un farmaco non è espressamente testato sulle donne non esiste modo di conoscere quali saranno le reali condizioni di efficacia e di sicurezza nelle donne.

Un particolare riferimento nel panorama farmacologico va fatto agli psicofarmaci: per i problemi generali di non sufficiente  rappresentanza delle donne negli studi clinici, le conoscenze sugli effetti e sulla efficacia degli psicofarmaci nelle donne sono più limitate di quelle maschili. Tali minori conoscenze sono particolarmente significative in questo campo se si considera che le donne assumono più psicofarmaci, da soli o in associazione con altri farmaci, più frequentemente seguono terapie protratte, in particolare per i disturbi depressivi.

Al di là del settore psichiatrico questo bias della ricerca farmacologica è evidente in ogni settore clinico attraverso la difficoltà a enucleare indicazioni terapeutiche appropriate relative a dosaggi efficaci per le donne e a controindicazioni ed effetti collaterali specifici.

 

2.      Le evidenze gender based

 

Abbiamo fornito esempi concreti che illustrano le problematiche più importanti riguardo il gender bias in medicina.  Le problematiche evidenziate sono in sintesi  le seguenti:

·        la carenza di interventi di prevenzione primaria;

·        la mancanza o la carenza di ricerche sui fattori eziologici e di rischio con un focus sulle condizioni di vita delle donne:  in particolare sulle condizioni di lavoro (intreccio tra lavoro produttivo e riproduttivo) e sulle varie forme di violenza sessuale;

·         le pratiche diagnostiche e terapeutiche  sviluppate sul modello maschile ma applicate anche sulle donne senza tener conto delle dovute differenze bio-psicologiche e sociali;

·        l'assenza o l'inadeguata presenza delle donne nei clinical trials con il risultato che nuovi farmaci vengono valutati quasi esclusivamente sui maschi ma poi utilizzati per ambedue i sessi, con conseguenze ben evidenti nella pratica clinica di una minore efficacia (effectiveness) o di maggiori effetti indesiderati;

·        l'assenza di dati statistici disaggregati per sesso (escludendo  i dati sulla mortalità), che riduce notevolmente la possibilità di costruire profili di  rischio per le donne  e di valutare appieno l'entità della presenza delle donne nell'utilizzo dei servizi sanitari;

·        il ritardo nell'identificare i fattori di rischio occupazionali o ambientali per alcune patologie femminili considerate principalmente ad eziologia ormonale. Esempi presentati nel documento includono  tumori al seno o all'utero, patologie mentali, patologie cardiovascolari;

·        la mancanza di risposte sanitarie adeguate ai problemi di salute delle donne;

·        la mancanza di programmi di formazione medica sui temi della differenza di genere.

Tutte le evidenze  segnalate rinviano sostanzialmente  a due  inappropriati criteri  di approccio ai problemi di genere:

A. la mancanza di attenzione alla differenza sessuale - nella complessiva valutazione del bios femminile (non limitato quindi alla sfera riproduttiva).

Si è osservato che questa  mancanza di attenzione può essere ascritta ad un processo riduzionistico della medicina nei confronti delle donne (aver ridotto cioè le differenze biologiche alle differenze di un unico apparato, quello riproduttivo).

In pratica nella maggioranza dei contributi si è osservato come l’uomo e la biologia maschile siano stati presi come unico riferimento negli studi clinici: ciò costituisce evidentemente una procedura metodologica inappropriata che tende ad inficiare la validità di molte ricerche e l'utilità di molte statistiche.

Esempi della scorretta omologazione del corpo femminile al corpo maschile si sono osservati nel campo delle patologie cardiovascolari, della oncologia, della medicina del lavoro e della farmacologia: l’efficacia di test diagnostici e dei  trattamenti è misurata essenzialmente sugli uomini.

Si è valutato che dalla marginalizzazione, se non esclusione, del bios femminile dall’osservazione  medica  sono derivati problemi, segnalati da effetti di scarsa efficacia e di maggiore nocività  delle prassi medico-sanitarie, nei seguenti ambiti:

-         nella determinazione degli strumenti di intervento diagnostici e terapeutici;

-         nella sperimentazione dei farmaci, nella determinazione dei dosaggi e degli effetti collaterali in quasi tutti i settori della medicina  e specificamente nella cardiologia, e nella psichiatria;

-         nella formulazione di  linee guida per la prevenzione ed il trattamento;

-         nell’analisi dei fattori di rischio psico-sociali dove il modello centrale è il maschio con il suo specifico stile di vita.

Questa  mancanza di attenzione alla differenza sessuale è il dato più  evidente e palpabile nell’ambito dei problemi fin qui rilevati.

Occorre che su questo aspetto del problema ci sia uno specifico intervento dell'Istituzione sanitaria nel dare criteri e orientamenti agli operatori; criteri che riguardino appunto la raccolta dei dati statistici differenziati in ogni settore, e le impostazioni delle ricerche sulle patologie miste da condurre  su  campioni maschili e femminili a confronto.

B. La disparità di trattamento nell’osservazione delle patologie maschili e femminili.

Si è valutato che un altro problema metodologico attraversa la ricerca sanitaria ed in particolare quella sui fattori eziologici e di rischio.

Non avere a disposizione i dati sanitari per  il sesso femminile, significa non poter contare su una rappresentazione adeguata di un fenomeno patologico: del tipo di diffusione ad esempio, o della tipologia dei fattori maggiormente coinvolti nella eziopatogenesi.

Ma il problema della disparità di trattamento non si esaurisce nella mancanza di dati. Anche infatti quando i dati sulle donne sono raccolti e sono disponibili, non sempre promuovono valutazioni adeguate.

Esistono molti dati sulla emergenza sanitaria "al femminile" (sulla depressione, una vera epidemia femminile; sulle violenze e le loro conseguenze sulla salute; sulle morti da HIV; sulle morti da patologie cardiovascolari e da tumore, ecc.).

Questi dati però in molti casi  sono sottovalutati, non vengono presi in adeguata considerazione, e non vengono trattati come emergenze.

Il senso di tutto ciò sembra riferirsi alla percezione del fenomeno patologico nelle donne che, associato alla eziopatogenesi di tipo prevalentemente biologico, viene considerato un evento naturale e perciò stesso poco modificabile e poco rispondente  ai presidi  della prevenzione primaria.

La disparità di trattamento si individua allora nel pregiudizio scientifico che attribuisce alla donna una prevalenza di fattori biologici nella valutazione eziologica e nella individuazione dei fattori di rischio, e all'uomo una prevalenza  di fattori eziologici e di rischio di tipo ambientale, sociale e lavorativo.

Le ricerche nel campo dello stress, delle malattie cardiovascolari, del cancro, della depressione, delle malattie professionali indicano tutte un forte bias di genere più difficilmente evidenziabile; esso si riferisce non tanto alle procedure di misurazione e quantificazione dei fenomeni, quanto alle impostazioni generali e alle ipotesi assunte nell’allestimento del campo di ricerca.

Alcuni contributi hanno evidenziato come vi sia una precisa linea di demarcazione che divide il campo della ricerca: da un lato lo studio sulle patologie  a prevalenza maschile con i rischi connessi di tipo ambientale, sociale e lavorativo; dall’altro lato le patologie a prevalenza femminile con i rischi prevalentemente ed in maggior misura attribuiti a fattori biologico-ormonali.

L’effetto complessivo di questa pre-clusione del campo della ricerca dei fattori di rischio ambientale e sociale alle donne deve essere  ampiamente sottolineato in quanto procura il maggiore danno: tende ad escluderle dal campo importantissimo della  prevenzione primaria.

E così vediamo che nelle patologie ad alto impatto tra la popolazione femminile l’eziologia prevalente è quella biologica - ormonale: ciò vale per i tumori al femminile, per la depressione, ed anche ultimamente per le patologie cardiovascolari.

Anche oggi quando vi è una nuova attenzione su alcune patologie come quelle cardiovascolari (considerate fino a poco tempo fa a prevalenza maschile), il rischio principale per le donne viene ascritto principalmente alla tappa biologica temporalmente connessa, ed in questo caso specifico, alla tappa della menopausa che è responsabile della perdita dello scudo protettivo ormonale.

            Sul piano tecnico - operativo il pregiudizio è presente nella scelta di un duplice criterio - un criterio per gli uomini ed un altro per le donne -  che sovraintende sia   alla impostazione del campo di ricerca che alla valutazione ed interpretazione dei dati.  Ricordiamoci a questo proposito  che la storia della scienza ci insegna che i dati nuovi non sono sufficienti a modificare criteri ed impostazioni se non vi è un osservatore in grado di leggerli e di rappresentarli, e che ha un interesse (sociale) in questo[3].

            Riteniamo questo problema di grande importanza per cui ci soffermiamo brevemente su di esso nel  proporre alcune misure correttive.

Indichiamo due misure specifiche la cui adozione può essere funzionale al superamento della divisione del campo di ricerca in due parti artificiosamente separate:

-         la prima riguarda la necessità di utilizzare nella ricerca,  che ha come oggetto sia  i fattori biologici che quelli psico-sociali,  strumenti metodologici in grado di mettere a confronto, e nello stesso tempo distinguere,  maschi e femmine in ogni campo di indagine;

-         la seconda si riferisce al confronto dei campi di indagine in cui sono inseriti uomini e donne: i campi devono poter essere messi a confronto su piani complanari e insieme osservati  attraverso strumenti di analisi integrati ed univoci.  Questi strumenti devono essere preparati specificamente al confronto di realtà storiche biologiche e psico-sociali diverse, uomini e donne appunto. Se ad esempio si analizza, nelle ricerche sullo stress e la patologia cardiovascolare, il lavoro per  i maschi, anche per le donne dovrà essere analizzato il lavoro come fattore di rischio. Ma se il lavoro si presenta storicamente in modo diverso per uomini e donne, non si dovrà procedere con misure diversificate su oggetti diversi (ciò sarebbe una cattiva interpretazione del principio dell'attenzione alla differenza di genere), ma occorrerà organizzare uno strumento unitario che integri la rilevazione dei due tipi di lavoro: in questo caso la rilevazione dovrà concernere il lavoro complessivo, produttivo e riproduttivo,  sia per gli uomini che per le donne. Ciò che è da evitare, e che è soprattutto scientificamente  scorretto, è che si eliminino, ad esempio, dal campo di osservazione le donne quando queste non hanno un lavoro produttivo (e sono ancora la maggioranza) in una ricerca che esplora lo stress lavorativo in uomini e donne.

Ed è proprio nel campo di osservazione del lavoro come fattore di rischio che si realizzano le maggiori disparità tra uomini e donne.  Segnaliamo pertanto che vi è tuttora una carenza nell'analisi di questo specifico fattore di rischio:

-         il lavoro produttivo deve essere analizzato in connessione con quello riproduttivo, per le donne ma anche per gli uomini, in modo da non costituire uno strumento di rilevazione improntato a pregiudizi e disparità. E' necessario allora che il lavoro familiare ed il lavoro produttivo siano tra loro confrontabili: ed in questo caso che il lavoro familiare sia affrontato e valutato negli stessi termini, quantitativi (dispendio di forze e di energie, tempi, ecc.) e qualitativi (livello di soddisfazione, controllo, riconoscimento, socializzazione), con cui è affrontato il lavoro produttivo

Rientra  negli atteggiamenti di "disparità" quelli cioè che privilegiano l'osservazione dei fattori di rischio che si collegano maggiormente  alla  popolazione maschile, la mancata attenzione alla violenza sessuale. Anche in questo caso i dati sono presenti ed indicano sul versante sociale la notevole diffusione della violenza contro le donne, e soprattutto mostrano le conseguenze in termini di danni alla salute che essa produce[4]. Sul versante sanitario, essa è tenuta poco in considerazione dai ricercatori e dagli operatori sia a livello diagnostico che  di trattamento. Infine non viene presa in considerazione come fattore di rischio specifico per alcune patologie ad alto impatto tra la popolazione femminile, ed in modo particolare per la depressione.

La violenza inoltre può entrare a buon diritto anche come fattore di rischio per la salute nella vita degli uomini[5]. Sul versante maschile la violenza, espressa in contesti diversi e con modalità diverse, può essere considerata un indicatore di rischio psichico. Gli abusi sessuali hanno come oggetto prevalente le bambine, ma anche bambini e adolescenti; i contesti militari e lavorativi sono un esempio di un tipo di violenza psicologica e morale esercitata sui maschi prevalentemente da parte di altri maschi

Molti contributi hanno evidenziato la mancanza di attenzione ai bisogni di salute delle donne nell’organizzazione dei servizi sanitari.

Si è visto come nei vari settori indagati, settori quindi che non fanno riferimento alla tutela della donna-madre, manchino orientamenti per la costituzione di servizi mirati sui problemi della differenza di genere.

Così è emerso in generale che nei servizi a cui afferisce  una utenza mista di uomini e donne,  non si realizzano iniziative che tengano conto dei problemi specifici delle donne sia a livello della organizzazione  sanitaria (tempi, luoghi, modalità della erogazione delle prestazioni), sia a livello  dei contenuti e delle modalità della risposta medico-sanitaria (maggiore attenzione allo spazio e al tempo d’ascolto, maggiore valutazione di alcuni fattori di rischio specifico, differenziazione dei criteri diagnostici, ecc.).

I servizi sanitari non sono organizzati per dare risposte personalizzate e sensibili alla diversa presentazione del disturbo in uomini e donne anche quando essi accolgono in prevalenza donne: tipico esempio di ciò sono i servizi di salute mentale dove la popolazione che manifesta in prevalenza sintomatologia psichica è quella femminile ma in cui le risorse sono maggiormente indirizzate alle patologie che danno allarme sociale, prevalentemente maschili.

 

3.                Per una medicina di genere

3.1              La prospettiva statunitense ed europea

I contributi e gli interventi presentati puntano tutti a dare una indicazione: è opportuno che la medicina assuma complessivamente il principio tecnico-scientifico dell’integrazione del punto di vista di genere in tutti i suoi campi, dalla clinica alla ricerca, dalla diagnostica alla prevenzione.

L'impostazione della medicina mostra una crisi rispetto alla prospettiva di genere: non soddisfa i bisogni di salute delle donne, ma indirettamente neanche quelli degli uomini. La crisi deriva da un’impostazione che non sa porre correttamente a confronto i problemi di salute delle donne con quelli degli uomini.

Consideriamo questa prospettiva da tre punti di osservazione: gli Stati Uniti, l’Europa, e l’Italia.

Proprio dall’esperienza degli Stati Uniti cogliamo alcune indicazioni sui contenuti della medicina di genere. In America esce nel 1997 il primo trattato di cardiologia che introduce la differenziazione di genere nella trattazione scientifica.[6]

Alla Columbia University, (New York) è stato organizzato un corso di "Women’s Study" su "Gender-Specific Medicine" che sperimenta: "a new approach to health care based on insights into biological differences between women and men: such differences can have a significant impact on the diagnosis and treatment of disease in both sex"[7].

La sua ispiratrice, Marianne Legato, professore di clinica medica, ha detto: "Historically, medical research has been conducted primarily in males, leaving us with an insufficient, largely male, model of biology and disease that's been applied to treat women without modification".

Questa consapevolezza, dell’esistenza di una scienza medica "al maschile", partita dal movimento delle donne negli Stati Uniti, ha attraversato il mondo medico, aprendo la prospettiva di un cambiamento nelle metodologie sia della clinica che della ricerca, attraverso l'integrazione del punto di vista di genere in ogni aspetto della pratica sanitaria.

Il Governo degli Stati Uniti ha istituito da diversi anni un "Office on Women’s Health", nel contesto del Department of Health and Human Services (OWH DHHS) [8] .

In Europa, fin dal 1998 la Comunità Europea ha incluso, all'interno dei programmi di ricerca (IV e V Programma Quadro), un invito alle donne a partecipare e a presentare progetti; oggi vi è un settore della ricerca europea (Science Woman) con un focus sulle donne.[9] Sempre in Europa si è pubblicato nel 1997, a cura del Dipartimento "Employment and Social Affairs", il rapporto sullo stato di salute delle donne in Europa (The State of Women's Health in the European Community).

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) dichiara che: "WHO endorses the Beijing Platform forò Action (1995) and the more recente  UN (the Unite Nations Department for Policy Coordination and Sustainable Development) Economic and Social Council (ECOSOC) agreed conclusions on 'Gender Mainstreaming in all activities of the UN system' in July 1997. These, along with recent interest from some donors on the mainstreaming of gender in WHO, provide the impetus as well as the opportunity to take gender issues forward"[10].

La sede europea dell’OMS, partendo da queste premesse, ha organizzato recentemente un Ufficio denominato Women's Health and Gender Mainstreaming, che coopera con la Direzione Europea ed in particolare con l' Office of the Director Technical Support and Strategic Development (DTS), con lo scopo di mettere in evidenza il punto di vista di genere in tutte le tematiche della salute.
L' Ufficio
Women's Health and Gender Mainstreaming si è attivato, organizzando un meeting nel  febbraio 2001, per integrare il punto di vista di genere nella determinazione dei targets europei sulla salute: "Health 21" (The Health for All Policy Framework for the WHO European Region).

Rispetto a queste iniziative, il lavoro del gruppo ha avuto il merito di aver iniziato ad affrontare complessivamente il problema in Italia, introducendo una prospettiva originale, e cioè una critica più precisa ai pregiudizi di genere di tipo biologistico, che tendono a permanere anche negli sudi con un "focus on
women."

3.2       Presupposti generali di una medicina di genere

Il lavoro del gruppo rappresenta così una prima analisi teorico-pratica delle insufficienze della medicina rispetto al punto di vista di genere. Questo lavoro ha messo in evidenza la presenza di bias di genere che costituiscono delle barriere per l'attività clinica e della ricerca diretta alla salute delle donne e all'assistenza sanitaria nei loro confronti.

Rispetto al complesso delle carenze e delle inappropriate procedure tecnico-metodologiche evidenziate sia  nell'ambito della clinica che della ricerca, le valutazioni del gruppo conducono ad una serie di opzioni e raccomandazioni di seguito indicate:

1.             integrare il punto di vista di genere nella ricerca sanitaria indicando come requisito essenziale in ogni progetto da finanziare la presenza di indicatori di genere nella raccolta dati, nella analisi dei dati, nello scorporo dei risultati;

2.             integrare il punto di vista di genere nella diagnostica, nel trattamento e nella prevenzione con:

-                     maggiore corrispondenza e pregnanza della diagnosi rispetto agli stati di malessere reali delle donne (con definizione di più appropriate  linee guida),

-                     maggiore efficacia dei trattamenti (con definizione di più appropriate  linee guida),

-                     riequilibrio nell’indagine dei fattori di rischio tra componenti (psico)-biologiche (ciclo ormonale e stati affettivi) e (psico)-sociali (lavoro e relazioni di oppressione);

3.         puntare alla prevenzione cogliendo meglio i rapporti tra malattia e specifiche condizioni di rischio nella vita della donna e degli uomini;

4.         privilegiare strategie formative orientate  all'inserimento del punto di vista di genere nei programmi di aggiornamento degli operatori.

Lo schema seguente abbraccia le linee programmatiche di una medicina di genere.

 

Campi di  studio e di intervento

ò

Epidemiologia di settore

Confronto M/F

Studi sui fattori di rischio

Confronto M/F

Tipi di  strumenti diagnostici

Confronto M/F

Tipologie del trattamento: loro efficacia

Confronto M/F

Nuovi studi di genere: ammissibilità/ inammissibilità

ò       ò         ò

Inclusione della variabile di genere nei modelli di raccolta dati, nelle tipologie di raccolta dati sanitari, nella configurazione degli indicatori di rischio.

Elaborazione di linee correttive dei modelli utilizzati.

 

Inclusione delle donne negli studi sui fattori di rischio ambientali e sociali (lavoro, lavoro familiare, stress); inclusione del rischio specifico: la violenza sessuale.

 

 

 

Inclusione dell'indicatore di genere negli studi (ad ogni livello) di efficacia dei farmaci; rappresentazione degli effetti indesiderati per le donne (in genere,  e non solo per le donne gravide) nei foglietti informativi dei preparati farmaceutici. Revisione dei modelli di sperimentazione dei farmaci, tipologia di studi di efficacia, ecc.

3.3       Articolazione di una programmazione sanitaria orientata al genere

Una programmazione sanitaria appropriata dal punto di vista di genere tende a:

-         il rispetto delle pari opportunità, culture della differenza, equità sociale per uomini e donne;

-         la promozione di iniziative volte ad assicurare le pari opportunità, a rimuovere le discriminazioni, ed a consentire le funzioni di indirizzo alle amministrazioni competenti.

Deve inoltre  poter assumere  le seguenti azioni positive:

¨      la definizione delle  procedure per l’inclusione del criterio della differenza di genere nella raccolta e nella  elaborazione dei flussi informativi centralizzati e periferici;

¨      la elaborazione di Raccomandazioni ad integrazione del Programma Nazionale di Linee-guida;

¨      la individuazione dei settori della ricerca da investire sulle tematiche della prevenzione e dei fattori di rischio collegati ad alcune patologie emergenti tra la popolazione femminile (patologie cardiovascolari, patologie psichiche, ecc.);

¨      la promozione di una Banca Dati per raccogliere le ricerche e le esperienze dei servizi sanitari con una ottica di genere;

¨      l'organizzazione, all'interno del sito del Ministero della Sanità, di un canale aperto (una o più pagine Web)  per la raccolta e lo scambio di informazioni sulle tematiche di genere;

¨      la elaborazione di alcune Raccomandazioni, da rivolgere alla Comunità Europea, sulle procedure di selezione dei campioni nelle sperimentazioni dei farmaci (inclusione delle donne nei trials clinici, differenziazione dei risultati  per sesso, indicazioni di genere sugli effetti collaterali correlati ai prodotti farmaceutici);

¨      raccomandazioni indirizzate alle Regioni, nell'ambito delle attività di programmazione, per l'individuazione di criteri rivolti alla promozione di servizi sanitari o di attività sanitarie gender sensitive;

¨      raccomandazioni alle Istituzioni di Formazione (Università, Centri di ricerca) perchè sviluppino progetti di Woman  Medical Study, come strumento per dare visibilità e sviluppo a filoni di ricerca applicata alle donne, e per integrare la formazione con una prospettiva di genere;

¨      progettazione di un Ufficio interministeriale (Sanità, Affari Sociali, Pari Opportunità) sul modello degli Stati Uniti (Office on Women Health - OWH), che abbia inizialmente una funzione culturale e di indirizzo nel promuovere: "comprehensive and culturally appropriate prevention, diagnostic and treatment services for women at the lifespan, as well as the integration of culturally sensitive practices in medical education and research.” E che giunga alla definizione di attività sanitarie orientate  secondo un "women friendly health system”.

Le funzioni di un tale Ufficio, da costituire a ponte tra i  Ministeri, dovrebbero essere indicativamente le seguenti:

-         coordinamento e promozione delle attività indirizzate alla salute delle donne;

-         osservazione e monitoraggio della ricerca e delle pratiche sanitarie;

-         promozione della comunicazione tra le regioni e delle linee di  indirizzo regionali;

-         promozione di Uffici o Progetti Donna nelle Regioni e nelle Aziende Sanitarie Locali;

-         coordinamento e promozione di esperienze utili all’ampliamento di conoscenze sulla differenza di genere nei campi della cura e del trattamento, della ricerca dei fattori di rischio e della prevenzione a livello della vita quotidiana;

-         sviluppo della competenza culturale orientata a promuovere approcci e metodologie innovative dirette  alla prevenzione, alla diagnostica e al trattamento  della salute delle donne;

-         sviluppo della informazione e della formazione sulle differenze di genere nella promozione della salute e nella medicina;

-         promozione di attività per lo scambio di conoscenze e di esperienze a livello internazionale;

-         sviluppo dei rapporti con la CEE e l’OMS per integrare le prospettive nazionali con le linee di sviluppo delle politiche sanitarie a livello europeo.

 



[1] Il carcinoma mammario non è stato trattato in un contributo specifico ma solo nella discussione collettiva del gruppo di lavoro.

[2] Questo argomento è stato  trattato solo nella discussione collettiva del gruppo di lavoro.

[3] T. Kuhn (1975) "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", Einaudi, Torino.

[4] Women's Health Development, Family and Reproductive Health (1996), Violence Against Women, in WHO Consultation, World Health Organization, Geneva.

[5] L'individuazione della violenza come fattore di rischio per la salute delle donne è un buon esempio di come un elemento, identificato a partire dall'esperienza di un genere - in questo caso il genere femminile -  possa rivelarsi utile per analizzare anche l'esperienza dell'altro genere. Segnaliamo, per quanto riguarda il lavoro, l'emergere del fenomeno del mobbing, che può essere meglio compreso in una prospettiva di genere, correlato alle situazioni di molestie di cui sono prevalentemente oggetto le donne.

[6] Braunwald, E. (1997), Heart Disease, Saunders Publish., USA.

[7] P&S Journal: Spring 1997, Vol.17,No. 2.

[8] "The Office on Women’s Health is the government’s champion and focal point for women’s health issues. Our Office works to redress the inequities in research, health care services, and education that have placed the health of women at risk, coordinating women’s health research, health care services, policy, and public and health care professional education across the agencies of the HHS, collaborating with other government organizations, and consumer and health care professional groups. The Office on Women’s Health is developing and implementing new programs and initiatives to improve women’s health in the United States and internationally". (http://www.4women.gov/owh/index.htm).

[9] http://www.cordis.lu/improving/women/home.htm

[10] http://www.who.int/frh-whd/GandH/mainstre.htm